ROMA – “Dubito molto che assisteremo a una guerra regionale e di certo non a un conflitto globale; anche perché nessuno vuole questa guerra, forse con l’eccezione di Israele”. Comincia da qui Ori Goldberg, analista esperto di Iran, in un’intervista per l’agenzia Dire dopo i bombardamenti americani. La prima risposta del ricercatore, cittadino di Israele, già al lavoro per la Lauder School of Government di Herzliya, riguarda le ripercussioni dei raid sui siti nucleari della Repubblica islamica ordinati dal presidente Donald Trump. “L’effetto più importante a medio-lungo termine dell’attacco di questa notte è la continua destabilizzazione del diritto e dell’ordine internazionale” dice Goldberg. “Il Sud globale sta difendendo la Carta delle Nazioni Unite, mentre il Nord globale lavora attivamente per screditarla”.
Ma i raid sugli impianti di Fordow, Esfahan e Natanz possono essere considerati come una vittoria per il primo ministro di Israele, Benjamin Netanyahu? “Sì, ma come la maggior parte delle sue vittorie, è solo a breve termine” risponde Goldberg. “Israele è uno Stato canaglia, forse in combutta con gli Usa, isolato dalla maggior parte dei contesti regionali e globali di negoziazione; non ha un vero controllo sul proprio futuro strategico, ma solo sul proprio potenziale tattico”. C’è poi un riferimento alla campagna militare avviata da Tel Aviv il 7 ottobre 2023, dopo gli assalti di Hamas nel sud di Israele, che ha già causato oltre 60mila morti tra i palestinesi. Goldberg sottolinea: “Il mondo tornerà a occuparsi della Striscia di Gaza quando finiranno gli effetti pirotecnici con l’Iran”. Si parla anche di “regime change”. “Non credo che Israele e gli Stati Uniti mirassero a rovesciare la Repubblica islamica” dice l’analista. “Sarebbe stato un vantaggio aggiuntivo, se fosse stato possibile ottenerlo”. Secondo Goldberg, “Netanyahu aveva bisogno di una vittoria dopo due anni di fallimenti a Gaza, e quella vittoria era definita come la distruzione delle strutture nucleari iraniane da parte degli Stati Uniti”. Nulla di tutto questo appare però “concretamente realizzato”, evidenzia l’esperto, che conclude: “La Repubblica islamica sembra resistere con determinazione”.
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