ROMA – La guerra in corso tra Israele e Iran, a cui si sono aggiunti da ieri anche gli Stati Uniti, potrebbe determinare una nuova crisi economica globale che travolgerà il potere d’acquisto dell’Europa e delle sue classi medie, oltre che Israele e Iran. Con l’agenzia Dire ne parla Alessandro Volpi, docente di Storia contemporanea e Storia della globalizzazione presso la facoltà di Scienze politiche dell’Università di Pisa.
SPECULAZIONI SU PREZZI DI PETROLIO E GAS
Il punto di partenza è l’eventuale chiusura dello stretto di Hormuz, attraverso cui passa oltre un terzo del petrolio mondiale: approvata dal parlamento di Teheran ieri, nei fatti questa mossa non è ancora stata realizzata.”La condizione di tensione crescente in cui ci troviamo- premette Volpi- alimenta una dinamica speculativa da cui guadagnano soltanto i grandi fondi finanziari di investimento, ossia i grandi azionisti che operano sui mercati energetici e gestiscono l’andamento dei prezzi delle materie prime, a partire da petrolio e gas naturale”.
CON LA CHIUSURA DI HORMUZ SI RISCHIA UN’IMPENNATA DELL’INFLAZIONE
Questa dinamica speculativa, determinata dalla minaccia della chiusura di Hormuz, è tuttavia “gestibile” e non è “niente in confronto al disastro che provocherà il blocco dello stretto”. A quel punto, “il petrolio mondiale subirà un’interruzione del 20/25% e allora saremo di fronte a un rischio concreto di paralisi dell’economia, con l’impennata dell’inflazione”, qualcosa di “simile alla crisi del 2021”, quando per effetto della pandemia di Covid, si ridusse la produzione di beni e quindi del commercio su scala globale, causando il crollo del prezzo delle materie prime e, a seguire, inflazione e recessione.
A PERDERCI DI PIÙ: “I PAESI CHE IMPORTANO ENERGIA E I LORO CITTADINI, QUINDI GLI EUROPEI”
La crisi che si profila oggi “danneggerà soprattutto i cittadini europei”, continua il docente, “perché i nostri Paesi consumano e quindi importano tanta energia”. A risentirne, con corposi aumenti in bolletta, saranno “le famiglie, le imprese e le fasce più deboli della popolazione”. Si assisterà al tempo stesso a un impoverimento del potere d’acquisto, soprattutto per chi non vedrà i propri salari adeguati all’aumento dell’inflazione. Un problema che riguarda decisamente l’Italia”, dove da tempo varie sigle di categoria avvertono che i salari sono bloccati e non adeguati all’inflazione, e dove “paradossalmente, il meccanismo di indicizzazione dell’inflazione non tiene conto dell’aumento dell’energia”, spiega il docente.
I CITTADINI USA MENO TOCCATI DALL’INFLAZIONE
Al contrario, i cittadini statunitensi ne risentiranno meno, dal momento che gli Stati Uniti sono produttori di energia e quindi meno legati alle importazioni. Per questo, prosegue Volpi, “non mi spiego l’atteggiamento prono dei leader europei rispetto alle azioni di Israele e Stati Uniti in Iran, dato l’alto rischio che corriamo”.
DAL 2023 SPESA MILITARE DI ISRAELE AL 10% E DEBITO A +15%: SI REGGE SUI ‘WAR BOND’
“Incomprensibile” per il professore dell’Università di Pisa è anche la politica di Israele: “È un Paese piccolo, col Pil simile a quello della Lombardia, che da ottobre 2023 ha portato la propria spesa militare al 10% del Pil; il debito è cresciuto di 10/15 punti percentuali – gli analisti parlano di un miliardo di dollari al giorno – mentre il settore turistico”, così significativo negli ultimi anni, “è azzerato”. L’economia israeliana pertanto “oggi si regge solo grazie ai ‘war bond’, ossia alla vendita dei titoli di Stato ai fondi d’investimento o alle banche – tra cui anche tante italiane – ma questo fa sì che il debito continui a crescere. La domanda è: per quanto tempo questo sistema potrà reggere?”.
“L’IRAN? HORMUZ GLI SERVE PER VENDERE PETROLIO E GAS A CINA, INDIA E RUSSIA”
Infine, l’Iran: “Non penso che paralizzerà Hormuz” sostiene il docente, “in quanto il canale gli serve per vendere petrolio e gas naturale a Cina, India e in parte alla Russia. Il regime non mette a rischio questa fonte di introiti a meno che non sia arrivato a un punto tale da non avere più altre opzioni alla sua sopravvivenza; penso sia per questa ragione che da più parti arrivano appelli a non assassinare l’ayatollah Ali Khamenei”, ossia il leader della Repubblica islamica, la cui uccisione è tra gli obiettivi della guerra di Tel Aviv. “Israele, sapendo di avere risorse economiche e militari limitate, punta a destabilizzare rapidamente l’area”, così come fatto in Siria, Yemen e Libano, tuttavia “l’Iran è un paese estremamente più grande, popoloso e complesso”.
“LA VERA MINACCIA SONO GLI USA DI TRUMP”
Ma per il professor Volpi, la vera minaccia sono gli Stati Uniti di Donald Trump: “Da tempo l’economia statunitense è debole: dei 37mila miliardi di debito, Trump ne ha ereditati 15mila dall’amministrazione Biden. Il Paese paga miliardi di interessi sul debito e il dollaro non è più la valuta degli scambi internazionali”. Consapevole di questo, sottolinea Volpi, “Trump è determinato a creare fiducia sui titoli di stato emessi dal Tesoro americano come bene-rifugio, riportando il dollaro a essere la valuta del commercio globale ma, per riuscirci, deve convincere tutti che gli Stati Uniti sono i più forti di tutti”. Quale migliore occasione di una guerra.
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