ROMA – “Con lo spray, il mancozeb finisce nei pomodori e sui banchi del mercato”, denuncia Medius Bihunirwa. Parla di un fungicida a base di manganese e zinco che l’Unione Europea ha messo al bando nel 2021, ma che continua a esportare in Africa. Anche in Uganda, il Paese natale di Bihunirwa, responsabile dei programmi di Pelum Association, una rete di 357 organizzazioni in 14 Paesi a sud del Sahara che calcola di rappresentare 12 milioni di contadini.
UN VELENO TRA TANTI
Il mancozeb è un veleno tra tanti. Altri si chiamano glifosato, aldicarb, dichlorvos, atrazina o chlorfenvinphos. Sono tutti pesticidi classificati nell’Unione Europea come “ad alto rischio”. In quattro casi su cinque sono vietati per l’uso nel territorio dell’Ue; nell’altro, sono sottoposti agli obblighi della Convenzione di Rotterdam, che per le sostanze nocive impone comunque una serie di vincoli. Forse è un paradosso. Di sicuro, un viaggio circolare dove a guadagnare sono le multinazionali, mentre a pagare il conto sono i cittadini dei Paesi meno tutelati: quelli africani. Parliamo di pesticidi vietati in Europa che l’Ue però esporta in Africa. I risultati sono fiumi avvelenati e rischi per la salute degli esseri umani, in particolare di donne e bambini. E alla fine il cerchio si chiude: i prodotti agricoli africani tornano in Europa, dove capita che siano respinti perché recanti tracce di quelle stesse sostanze che l’Ue vieta ma continua a esportare.
L’INIZIATIVA ALLA VIGILIA DELLA CONFERENZA DEI MINISTRI EURO-AFRICANA
Se ne parla, di questo paradosso, durante un incontro promosso a Roma dal Simposio delle Conferenze episcopali di Africa e Madagascar (Secam/Sceam) insieme con la rete europea e nordamericana Coopération Internationale pour le Développement et la Solidarité (Cidse). “Pesticidi vietati nell’Unione Europea continuano a essere prodotti ed esportati in Africa e in altri luoghi del mondo”, denuncia Bihunirwa in un’intervista con l’agenzia Dire. “Sono più di 200 quelli proibiti e che si producono ancora, nonostante ci siano molte prove del loro impatto sulla salute umana, sull’ambiente, sui corpi delle persone e sul cibo”. L’attivista fa riferimento al suo Paese d’origine. “In Uganda”, riferisce, “sono stati realizzati studi che hanno permesso di trovare tracce di 12 o 13 pesticidi differenti nei fiumi, compresi cinque con concentrazioni di veleni particolarmente alte”. Secondo Bihunirwa, “non è etico proteggere solo i cittadini europei e non preoccuparsi degli esseri umani che vivono altrove”. Da qui un appello, proprio alla vigilia della Sesta conferenza dei ministri dell’Agricoltura dell’Ue e dell’Unione Africana: “All’Europa chiediamo di vietare i pesticidi tossici, perché quello che è tossico per gli europei lo è anche per gli asiatici, gli africani o i latino-americani; i nostri corpi sono gli stessi, siamo tutti vulnerabili allo stesso modo”.
DOPPI STANDARD
A denunciare i “doppi standard” è anche monsignor Bernard de Clairvaux Toha Wontacien, vescovo di Djougou, in Benin. “Le risorse naturali dell’Africa e anche le sue sementi”, sottolinea il presule aprendo l’incontro, “sono considerate come commodities da sfruttare per il profitto e non come un dono”. Il riferimento, che torna più volte, è all’enciclica di papa Francesco ‘Laudato si”. “Dobbiamo ascoltare le difficoltà dei poveri e della Terra”, sottolinea monsignor Toha. “Basta con i doppi standard, con le multinazionali dell’Europa che esportano sostanze vietate nel loro continente, avvelenando i contadini e i popoli dell’Africa”.
DIPENDERE DAI PESTICIDI
Secondo dati presentati durante l’incontro, la regione subsahariana sta diventando sempre più dipendente dai pesticidi agricoli, con un utilizzo cresciuto del 175 per cento dal 1990, fino a 210mila tonnellate già nel 2021. Su questi numeri riflette Italo Rizzi, direttore di Lvia, organizzazione con base in Piemonte e iniziative di cooperazione in dieci Paesi dell’Africa, dal Senegal al Mozambico, dall’Etiopia alla Guinea-Bissau. La tesi è che quella dei pesticidi sia “una questione tecnica ed economica”, ma anche “un dovere morale” da assumersi per “trasformare” le relazioni tra i Paesi del Nord e del Sud del mondo. “L’impegno delle organizzazioni che si stanno mobilitando è dare un messaggio trasformativo rispetto alle relazioni tra i Paesi del Nord e l’Africa”, evidenzia Rizzi. “Non è possibile che pesticidi che sono aboliti da noi vengano impunemente commercializzati in Paesi del Sud solo perché le norme locali non sono in grado di impedirne l’utilizzo”.
LE RESPONSABILITA’ DELLE MULTINAZIONALI
Poi, sulle responsabilità delle multinazionali, europee e non solo. “Fanno il loro lavoro”, dice Rizzi, “ma noi dobbiamo fare leva sulle nostre capacità come organizzazioni della società civile per influenzare e portare elementi concreti di fronte alla politica”. Secondo il direttore di Lvia, l’obiettivo deve essere “ottenere misure di salvaguardia” rispetto a interessi privati che sono “legittimi”, ma che su “temi specifici”, come la difesa della salute, dei diritti umani e dell’ambiente, è opportuno “contrastare”. L’incontro di Roma è intitolato ‘Ferma il veleno. Sostieni le sementi. Un appello alla solidarietà’. Alla vigilia della Sesta conferenza dei ministri dell’Agricoltura, delegati, cooperanti, religiosi e cittadini dialogano su politica, ambiente, salute. Ascoltate ancora Bihunirwa: “Gli effetti dei pesticidi sono particolarmente insidiosi per le donne e i bambini, che in Africa sono i più a rischio”. Forse è inevitabile che sia così. “Le donne svolgono infatti la maggior parte del lavoro in agricoltura e anche in casa”, sottolinea l’attivista. “Nei campi si usano spray con pesticidi mentre i contadini non hanno protezione; le fonti d’acqua sono contaminate e sono i bambini e le donne poi che vanno a raccogliere l’acqua per bere e per gli usi domestici”. Secondo Bihunirwa, esistono prove degli effetti dei pesticidi sulla salute delle donne e sul loro ciclo mestruale. “Ricerche scientifiche mostrano la correlazione tra queste sostanze e le nascite premature, in particolare per donne che sono state esposte alle sostanze chimiche”, denuncia l’attivista. “È molto importante oggi parlare della salute delle madri, dei bambini, di tutti”.
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