Foto dal sito di Save the children
ROMA – “Nessuno, a maggior ragione i più piccoli, dovrebbe essere ucciso alla ricerca di cibo. Costringere i civili in zone recintate per poi essere uccisi a colpi di arma da fuoco è disumano. Si fermi tutto questo, si sostenga il diritto internazionale e si permetta alle organizzazioni umanitarie esperte di fornire aiuti in modo sicuro e dignitoso. Da quando la Gaza Humanitarian Foundation (GHF) ha iniziato le sue operazioni quattro settimane fa, i bambini sono stati uccisi o feriti in più della metà degli attacchi mortali avvenuti nei punti di distribuzione di cibo a Gaza”. Lo afferma Save the Children, l’Organizzazione internazionale che da oltre 100 anni lotta per salvare le bambine e i bambini a rischio e garantire loro un futuro, che ha analizzato i rapporti dell’Ufficio stampa di Gaza e delle Nazioni Unite sul numero e il tipo di vittime presso la GHF e altri punti di distribuzione degli aiuti dal 27 maggio 2025, rilevando che i bambini erano tra le vittime in 10 dei 19 incidenti mortali, ovvero più della metà.
Alcune famiglie di Gaza sono così disperate – in alcuni casi per la mancanza di un adulto sano – che mandano i bambini a raccogliere cibo nei punti di distribuzione, esponendoli inevitabilmente al rischio di essere colpiti dalle forze israeliane. Dal 27 maggio, più di 500 palestinesi sono stati uccisi e almeno 3.000 feriti dalle forze israeliane mentre cercavano di accedere agli aiuti, sia presso i punti di distribuzione del GHF o durante il tragitto verso gli altri pochissimi convogli di aiuti forniti dalle Nazioni Unite o dalle ONG, secondo l’OHCHR.
Gli operatori di Save the Children a Gaza raccontano che i membri della famiglia e i vicini hanno vissuto o assistito a delle vere e proprie carneficine nei luoghi di distribuzione nell’ultimo mese. Mohamed*, collaboratore di Save the Children, ha raccontato che il suo vicino di casa, padre di quattro figli, non aveva altra scelta se non quella di recarsi a un centro di distribuzione perché la sua famiglia aveva esaurito cibo e denaro. Si è recato a Rafah e gli hanno sparato uccidendolo. Mohamad sta ora cercando di aiutare la vedova del suo vicino; dice che ora è indigente e traumatizzata, i suoi bambini piangono in continuazione.
Un altro collaboratore, Abdallah, ha raccontato che questo mese un membro della sua famiglia allargata si è recato in un luogo di distribuzione e ha visto un uomo colpito da un proiettile e lasciato a terra sanguinante. Ha raccontato che la gente correva sopra l’uomo ferito, cercando di raggiungere il cibo, senza che nessuno potesse fermarsi ad aiutarlo.
“Nessuno vuole ricevere aiuti da questi punti di distribuzione e chi può biasimarli: è una condanna a morte. Le persone hanno il terrore di essere uccise. Un collega ci ha detto oggi che, anche se la sua famiglia è ridotta a mangiare un pasto al giorno, non andrà a una distribuzione del GHF, perché ritiene che la sua vita valga più di un sacco di farina. E come se non bastasse, anche i bambini vengono uccisi e feriti nel tentativo di raggiungere gli aiuti, cui hanno diritto. Altre famiglie ci dicono di essere ormai troppo deboli per competere per il cibo. Quello che sta accadendo qui è a dir poco ripugnante. Nessun bambino dovrebbe essere ucciso alla ricerca di cibo. Questa non è un’operazione umanitaria, è una trappola mortale. Costringere i civili in zone recintate per poi essere uccisi a colpi di arma da fuoco è l’opposto dell’umanitario, è disumano. E non è l’unica opzione. Esiste un sistema di aiuti umanitari consolidato che deve essere lasciato funzionare. Gli Stati possono scegliere. Non possono cancellare il passato, ma possono agire ora, per fermare tutto questo, sostenere il diritto internazionale e permettere alle organizzazioni umanitarie esperte di fornire aiuti in modo sicuro e dignitoso. Non si può permettere che una parte in conflitto continui ad armare gli aiuti, l’accesso umanitario e la fame” ha dichiarato Ahmad Alhendawi, Direttore regionale di Save the Children per il Medio Oriente, il Nord Africa e l’Europa orientale.
Il governo di Israele continua a mantenere l’assedio sulla maggior parte dei rifornimenti vitali e dei beni commerciali che entrano a Gaza, creando una situazione che i funzionari delle Nazioni Unite definiscono di “scarsità artificiosa”. Sebbene la morte e le ferite rimangano i rischi principali per i minori in questi siti di distribuzione, le Nazioni Unite hanno segnalato ulteriori rischi, tra cui la separazione dalle famiglie.
Save the Children gestisce un centro di assistenza sanitaria primaria a Deir Al-Balah, fornendo servizi essenziali a bambini, madri e famiglie, tra cui lo screening e il trattamento della malnutrizione. I suoi team forniscono acqua salvavita, gestiscono spazi a misura di bambino che offrono ai più piccoli luoghi sicuri per giocare e ricevere supporto psicosociale, e allestiscono centri di apprendimento temporanei per aiutare i minori a continuare la loro istruzione durante la crisi. Dalla fine della pausa, il 18 marzo, è diventato estremamente difficile per il personale dell’Organizzazione fornire questi servizi vitali, nonostante le colossali necessità.
*Nomi cambiati per proteggere le identità
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