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Roma

Essame delle acque di Civita Vecchia e di Trevi

CIVITAVECCHIA – Un giorno mi recai a Roma per visitare una libreria antiquaria ma sbagliai indirizzo ed entrai in un’altra lì vicino. Ne uscii con una decina di libri antichi su Civitavecchia tutti rilegati in rosso e con il portafoglio alleggerito. È il libro più antico che custodisco nella mia Biblioteca storica di Civitavecchia. Fu scritto nel 1701 dallo jesino Antonio Giulianelli, che in un opuscolo del 1687 è presentato come “speziale in Roma stimato di molta intelligenza nella sua professione, e curioso nell’indagare gli effetti, e le minuzie della natura”. Da pochi anni Civitavecchia era stata promossa città e capoluogo di provincia. Erano necessari per la promozione economica, sociale e culturale della sua classe dirigente studi e ricerche che nobilitassero la città e gli riconoscessero un adeguato ruolo nell’ambito dello Stato della Chiesa. Sono gli anni in cui muove i primi passi la storiografia cittadina con Arcangelo Molletti. Ma i cittadini di allora, oltre ad essere affamati di un blasonato passato, avevano letteralmente sete. Già sotto il pontificato di Innocenzo XII (1691-1700) si era posto mano all’antico acquedotto traianeo sotto la direzione dell’architetto Carlo Fontana. Tali lavori di ripristino e ammodernamento delle condutture romane si erano conclusi sotto il pontificato di Clemente XI (1700-1721). Per dare maggiore lustro all’arrivo dell’acqua in città, papa Albani incaricò lo speziale Giulianelli, buon chimico e membro dell’Accademia fisico-matematica romana, di analizzare l’acqua potabile della città portuale mettendola a confronto con quella che sgorgava nella Capitale dalla Fontana di Trevi. Il libro esordisce così: “Essendo l’Acque di Civita Vecchia quasi tutte salmastre, e piene di tartari terrestri, e molto peggiori l’estate, e conseguentemente di pessime qualità, hanno in diversi tempi cagionato molte malattie, con mortalità; per ciò la Santa memoria di Innocenzo XII tentò non solo ristaurare, ma anco fece proseguire la fabrica di nuovo dell’antico acquedotto di Traiano Imperatore di circa 21 miglia italiane per far condurre l’acque dolci non solo sufficienti al bisogno di quella Città ma ancora acciò potesse servire per molini a grano, e altri edifici per commodo dell’Arti, che ivi si pensava intodurre”. Lo speziale prosegue ricordando che gli fu recapitata “una certa quantità di dett’Acqua, acciò la dovessi essaminare”. Dopo lunghe e accurate analisi, Giulianelli decretò che l’acqua di Civitavecchia risultava essere migliore di quella che zampillava dalla Fontana di Trevi per la maggiore leggerezza: indizio sicuro che essa conteneva meno materie estranee e nocive al corpo umano. Il libro è corredato da una stampa in cui sono raffigurati gli elementi presenti nelle due acque, messi in luce dall’analisi dello speziale jesino che tanto mi ricorda il farmacista Odoardo Toti, mio compagno di ricerche storiche, e anche lui particolarmente interessato alle proprietà delle acque del territorio civitavecchiese. A lui dedico questo breve studio su Antonio Giulianelli, speziale jesino. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

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