ROMA – Inizia oggi la due giorni di incontri del The Hague Group (Gruppo dell’Aia), una coalizione a cui hanno aderito una trentina di Paesi per definire un piano di azioni legali, politiche ed economiche “coordinate” da intraprendere contro lo Stato di Israele, accusato di violazioni del dirizzo internazionale contro i Territori palestinesi occupati.
A lanciare l’iniziativa a gennaio scorso, il Sudafrica, Paese che nel dicembre 2023 ha denunciato Israele alla Corte di giustizia internazionale (Icj) per presunto crimine di genocidio nella Striscia di Gaza. L’idea è quella di aggirare l’immobilismo dei Paesi occidentali, a partire dagli Stati Uniti e dell’Unione europea, che hanno deciso di non imporre sanzioni contro Israele nonostante gli appelli internazionali, e si rifiutano di attuare il mandato di arresto della Corte penale internazionale che pesa sul premier israeliano, Benjamin Netanyahu, accusato a novembre di presunti crimini di guerra e contro l’umanità sulla popolazione di Gaza. Il premier israeliano ha definito illegittime le accuse e accusato il tribunale di “azioni politicizzate e antisemite”.
I PAESI CHE HANNO ADERITO
Al progetto ha subito aderito la Colombia del presidente Gustavo Petro, che ha messo a disposizione la capitale Bogotà per accogliere i lavori dei ministri degli Esteri. Tra gli altri, hanno aderito Spagna, Qatar, Algeria, Brasile, Bolivia e Indonesia.
In una dichiarazione, The Hague Group si propone di dare seguito alle disposizioni della risoluzione del settembre scorso, con cui l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha definito “illegale” l’occupazione dei Territori palestinesi da parte di Israele, imponendo quindi agli Stati membri di adottare le misure necessarie contro Israele affinché vi ponga fine, misure che sono l’obiettivo a cui i venti Paesi a Bogotà ora mirano: l’adozione di sanzioni e di un embargo sul commercio di armi con Israele, la chiusura dei porti a navi sospettate di trasportare armamenti e strumentazioni belliche verso Israele nonché l’avvio di un’azione multilaterale per favorire la nascita dello Stato di Palestina. Queste ricalcano anche i tre pacchetti di misure provvisorie emanate dalla Corte internazionale di giustizia nell’ambito del procedimento Sudafrica vs Israele, che è ancora in corso.
Infine, la coalizione intende dare sostegno ai mandati di arresto internazionali contro i responsabili delle morti a Gaza: oltre al mandato d’arresto contro Netanyahu, la Cpi ne aveva spiccati altri quattro: uno contro l’ex ministro della Difesa Yoav Gallant e tre contro altrettanti vertici militari di Hamas responsabili degli assalti armati del 7 ottobre 2023 nel sud di Israele. Tuttavia, questi leader sarebbero deceduti e la loro uccisione è stata rivendicata da Tel Aviv nel quadro del conflitto.
Il ‘The Hague Group’ prende infatti il nome dalla città olandese sede della Corte internazionale di Giustizia e della Corte penale internazionale, alle cui decisioni i Paesi del Sud globale vogliono esprimere sostegno; inoltre, quest’anno, diversi giudici, funzionari e collaboratori del tribunale della Corte penale sono stati raggiunti da due pacchetti di sanzioni da parte da Washington in relazione sia all’inchiesta condotta contro Israele che contro gli Stati Uniti nell’ambito della guerra avviata nel 2001 in Afghanistan.
LA VICENDA FRANCESCA ALBANESE
Negli ultimi giorni, gli Stati Uniti hanno sanzionato anche Francesca Albanese, relatrice speciale dell’Onu sui territori palestinesi occupati, in seguito a un report in cui l’esperta descrive in che modo le attività di diverse aziende israeliane e internazionali – a partire da quelle impegnate nel settore tecnologico e della difesa – e la cooperazione universitaria abbiano alimentato “prima un’economia di occupazione ed apartheid” e poi quella “del genocidio in corso” nella Striscia. Albanese ha assicurato che le sanzioni statunitensi non saranno sufficienti a “metterla a tacere”. “Non devono essere viste come un attacco contro di me- ha chiarito- bensì come un monito per chiunque osi difendere la giustizia e la libertà internazionale”. La relatrice dell’Onu quindi definito l’iniziativa di Bogotà “lo sviluppo politico più significativo degli ultimi 20 mesi”.
Varsha Gandikota-Nellutla, segretaria esecutiva del Gruppo dell’Aia, ha dichiarato: “Ci incontriamo a Bogotà con un duplice imperativo: porre fine all’impunità di Israele e recidere i legami di complicità. La Corte internazionale di giustizia ha già emesso le sue sentenze, definendo illegale la continua presenza di Israele nei territori palestinesi. Non vi è alcuna mancanza di chiarezza giuridica”. Il riferimento è al parere consultivo già emanato dalla Corte, in cui si legge: “Le preoccupazioni di Israele in materia di sicurezza non prevalgono sul principio del divieto di acquisizione di territorio con la forza”. Da qui l’invito a porre fine all’occupazione “il più rapidamente possibile”.
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