ROMA – A tre mesi dallo stop, Washington fa dietrofront. Trump ha autorizzato Nvidia – o, almeno, così dice Nvidia – a riprendere le vendite in Cina del chip H20, una versione depotenziata dei suoi semiconduttori per l’intelligenza artificiale. La decisione, annunciata dalla società californiana, arriva dopo un incontro tra l’amministratore delegato Jensen Huang e il presidente. La Silicon Valley potrà così rientrare nel mercato cinese, a patto di ottenere licenze specifiche, che – assicura Nvidia – verranno concesse senza ostacoli. Non è un passaggio da poco: è un segnale di come possano finire le prove di forza di Trump contro avversari che resistono.
L’H20 non è il chip più potente di Nvidia, ma mantiene capacità di calcolo e memoria sufficienti per alimentare i processi di “inferenza” tipici dell’IA. Con questo via libera, le aziende cinesi potranno tornare ad acquistare semiconduttori americani, indispensabili per lo sviluppo di nuovi modelli e applicazioni. E’ un cambio di rotta rispetto alle restrizioni imposte in nome della sicurezza nazionale. Finora, l’obiettivo di Washington era mantenere un vantaggio strategico sull’intelligenza artificiale, evitando che Pechino potesse sfruttare tecnologie occidentali a fini militari o industriali. Non a caso, lo stesso segretario al Commercio, Howard Lutnick, aveva accusato Nvidia di “aiutare la Cina a competere con gli Stati Uniti”.
La retromarcia, tuttavia, risponde anche a logiche di mercato: la Cina rappresenta circa metà degli sviluppatori di IA mondiali e resta il primo importatore globale di chip. Per Nvidia, il ritorno a Pechino può valere fino a 15 miliardi di dollari di fatturato nel solo anno fiscale in corso. Appena la scorsa settimana Nvidia è diventata la prima società pubblica della storia a superare i 4.000 miliardi di dollari di valore.
L’apertura ha già sollevato dubbi al Congresso. La Commissione speciale della Camera sul Partito Comunista Cinese ha avviato un’indagine sulle forniture Nvidia all’Asia, sospettando violazioni delle normative. E la politica statunitense appare ancora divisa tra prudenza strategica e necessità economica.Nel frattempo sul fronte interno, la Cina continua a spingere sull’export e sugli investimenti industriali per sostenere la crescita. Rispondendo così ai dazi americani. Nel secondo trimestre 2025, il PIL cinese è aumentato dell’1,1% rispetto ai tre mesi precedenti, con una proiezione annua del 4,1%. Una performance migliore del previsto, trainata da nuovi impianti produttivi, infrastrutture e vendite verso Sud-est asiatico, Europa e Africa.
Ai segnali di debolezza il governo ha risposto con una politica monetaria espansiva. Ma il piano resta chiaro: esportare di più per compensare il calo dei consumi. E’ un equilibrio fragile, che per ora tiene più dei dazi di Trump.
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