MILANO – Il vincolo su San Siro resiste al primo assalto legale. Il TAR della Lombardia ha respinto il ricorso presentato da 82 cittadini e tre comitati contro il Comune di Milano, il Ministero della Cultura e quello delle Infrastrutture (quest’ultimo, assente in giudizio), nel tentativo di fermare il vincolo culturale sul secondo anello dello stadio Meazza. Nel mirino dei ricorrenti, anche gli atti connessi al bando pubblico per l’acquisto dell’impianto e l’accordo siglato con il Politecnico e la Bocconi. Obiettivo: annullare tutto. Risultato: respinti al mittente. E può quindi andare avanti il progetto d’acquisto di San Siro e dell’area sulla quale Inter e Milan intendono costruire un nuovo stadio di proprietà.
I giudici amministrativi hanno liquidato il ricorso già in fase preliminare, sottolineando come «non emergano profili che possano indurre ad una ragionevole previsione favorevole ai ricorrenti». Tradotto: nessuna speranza concreta di vittoria.Quanto al cuore della questione – il vincolo culturale che scatterà il 10 novembre 2025 – i giudici hanno ribadito un principio chiave del diritto amministrativo: le valutazioni della Soprintendenza sono espressione di discrezionalità tecnica e, salvo clamorose illogicità, non possono essere sindacate dal giudice. Il TAR, insomma, non può entrare nel merito e sostituirsi ai tecnici, a meno che questi non abbiano preso una cantonata plateale. Cosa che, secondo i giudici, non è avvenuta.La data del 10 novembre 1955, individuata come riferimento per il compimento dei 70 anni richiesti dal vincolo di vetustà, è stata ritenuta coerente: quel giorno risale al verbale di collaudo provvisorio, primo atto ufficiale che certifica la fine dei lavori del secondo anello. Una base documentale solida, non un’illazione.Infine, i giudici hanno archiviato anche il capitolo “danno imminente”, sollevato dai ricorrenti in relazione alla possibile vendita dello stadio. Nessun “periculum in mora” concreto: la demolizione, ricordano, non potrà comunque avvenire prima del 2030. Troppo presto, quindi, per gridare all’irreparabile.
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