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Cooperazione, imprenditrici afghane alla luce del sole


ROMA – A Kabul, questo mese, si è compiuto un piccolo miracolo: si è svolta la cerimonia di consegna della prima edizione del Women Business Prize, un premio alle migliori attività imprenditoriali, o alle idee di business, lanciato da Nove Caring Humans con l’autorizzazione del ministero del Commercio e Industria dell’Emirato talebano. La particolarità dell’evento sta nel fatto che ha permesso a tre donne di ottenere un riconoscimento pubblico per il proprio lavoro e le proprie aspirazioni, in un Paese che vieta alle donne di svolgere molte attività lavorative, viaggiare da sole e persino far sentire la propria voce al di fuori delle mura domestiche; inoltre, è l’unico Paese al mondo che per legge vieta l’educazione femminile dopo la scuola primaria. “Ottenere l’assenso da parte dell’emirato non era scontato”, spiega all’agenzia Dire Susanna Fioretti, cofondatrice e vicepresidente di Nove, un’organizzazione che da anni realizza in Afghanistan progetti di sviluppo mirati alle donne e che è rimasta anche dopo il ritorno al potere dei talebani, nell’agosto 2021. Fioretti prosegue: “Ho incontrato personalmente i rappresentanti del ministero a Kabul e dopo un lungo dialogo, abbiamo firmato un Memorandum d’intesa che ci ha consentito di svolgere il Premio”.

FIORETTI: “RACCOLTE OLTRE 140 CANDIDATURE DA 15 SULLE 34 PROVINCE TOTALI”

Sottoscritto il Memorandum, Nove ha potuto avviare la campagna di sponsorizzazione per lanciare il bando a livello nazionale e qui avviene un altro fatto inaspettato, come continua la vicepresidente Fioretti: “Avevamo già indetto un premio pilota prima del 2021 e all’epoca avevamo ricevuto una sessantina di candidature. Stavolta pensavamo di riceverne la metà, tenuto conto di tutte le restrizioni, i rischi e anche le difficoltà di comunicazione che queste donne affrontano. Invece ne abbiamo raccolte oltre 140 da 15 sulle 34 province totali. Nessuna si è persa d’animo: chi non aveva il computer, ha scritto la propria candidatura a penna e ha inviato la fotografia del documento”. Oltre all’inaspettata risposta, Fioretti e colleghi restano meravigliati “dall’alto livello di imprenditoria femminile che è emerso dalle candidature”. In un Paese in cui praticamente una persona su due vive in povertà, “questo premio ha confermato che l’imprenditoria femminile è un cardine dell’economia nazionale, e generalmente dà lavoro ad altre donne, diventando così un’ancora di salvezza per le tante che non hanno sostegn maschile e devono mantenere la famiglia”.

IL MINISTERO DEL COMMERCIO E DELL’INDUSTRIA SI È MOSTRATO COLLABORATIVO

Più di 40 anni di guerra, oltre a povertà e mancanza di servizi, hanno determinato morti e mutilati. Moltissime donne sono vedove oppure solo le uniche nella coppia, in buona salute. Sono così costrette a farsi carico dei figli e, spesso, anche di suoceri, zii, genitori, nipoti. Nei vent’anni che hanno preceduto il ritorno al potere dei talebani però, l’azione delle organizzazioni non governative e delle agenzie di cooperazione – nazionali e internazionali – hanno promosso istruzione, formazione e creato reti che stanno continuando a dare i loro frutti. Fondamentale per Fioretti quindi sostenere la determinazione e la voglia di emergere da povertà e violenza del popolo afghano: “Con questo premio, abbiamo deciso anche di mettere in comunicazione imprenditrici italiane, britanniche, internazionali con quelle afghane, per esplorare opportunità di scambio e collaborazione”. Davanti a questo progetto, il ministero del Commercio e dell’Industria si è mostrato collaborativo. In parte l’imprenditoria femminile è riconosciuta: la Camera di commercio femminile non è stata sciolta e il governo autorizza delle fiere in cui le imprenditrici femminili possono esporre i loro prodotti, che sono per lo più artigianali, per metterle anche in contatto con compratori esteri. E’ innegabile, osserva la vicepresidente di Nove, che le leggi varate dal ministero per la Prevenzione dei vizi e la promozione della virtù abbiani stabilito, tra le altre cose, la chiusura dei saloni di bellezza, “tra le principali attività femminili, e in 60mila hanno perso il lavoro da un giorno all’altro. Ma sono accettate – e persino sostenute – altre attività tradizionalmente ‘femminili’ come la tessitura dei tappeti, i lavori di sartoria, la produzione di generi alimentari come le confetture o i latticini”.

VINCITRICE UNA 27ENNE CHE HA FONDATO UN’IMPRESA DI COSTRUZIONI E LOGISTICA

La prima classificata del Women Business Prize non rientra però in queste categorie: “La vincitrice è una ragazza di 27 anni che, terminati gli studi universitari circa due anni prima che i talebani li vietassero alle donne, ha fondato un’impresa di costruzioni e logistica, inziando con import di materiali dalla Cina”. Quanto alla seconda classificata, “è una 22enne che ha proposto una start-up per produrre assorbenti riciclabili”. Questo è un tema importante: “non solo le mestruazioni sono un grande tabù, ma gli assorbenti igienici sono costosi e di pessima qualità”. Infine, la terza ha proposto una fabbrica di conserve naturali che contrasta lo spreco di frutta e verdure locali, per mancanza di mezzi per la conservazione. “Inoltre intende impiegare solo donne”, dice Fioretti. Alla prima sono andati 3.500 euro, alla seconda 2.500 e alla terza 1.400, mentre a tutte, sono assicurati tre mesi di mentoring in business marketing. La Fondazione Avvenire – tra i partner del progetto – ha deciso di assegnare un premio fuori concorso: selezionato un centro tecnologico femminile che vuole lanciare uno spin-off per la produzione locale di cavi Usb.

FIORETTI: “PERMETTERE ALLE DONNE AFGHANE DI PERSEGUIRE I LORO SOGNI”

“Nei prossimi anni intendiamo replicare il Premio, perché le imprenditrici afghane meritano il sostegno di tutti”, assicura la vicepresidente di Nove, “e vorremmo istituire più di una categoria per aumentare i premi”. L’obiettivo di progetti come questo è anche quello di “permettere alle donne afghane di perseguire i loro sogni e svolgere le loro attività alla luce del sole”, strappandole all’ombra, dove si annidano “rischi di violenze, ricatti, sfruttamento e soprusi”. “Un regime che nega diritti fondamentali alle donne – conclude Fioretti- non si può cambiare dall’esterno, importando la democrazia. Ma si può provare a portare dei cambiamenti lavorando all’interno, a piccoli passi; il modo che adottiamo noi è il ‘contagio’: moltiplicare esempi come quello di imprenditrici che creano altre imprenditrici, che assumono altre donne, che incrementano il commercio”.
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