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Roma

Il futuro della Siria passa per Suwayda


ROMA – ‘A Suwayda vediamo cadaveri ammassati ovunque per le strade, non è possibile recuperarli e, a causa dei combattimenti, sono state distrutte le forniture mediche, il cibo e i presidi medico-sanitari contro le epidemie, come il cloro per disinfettare le condutture idriche. E’ un disastro’. A parlare è un attivista politico, che all’agenzia Dire chiede di restare anonimo. Si trova Suwayda, nella Siria sud-occidentale, e a inizio settimana descriveva così le condizioni in cui versava la città dopo giorni di violenti scontri tra le milizie druse e quelle arabe, che hanno già causato migliaia di vittime e sfollati. Come riporta l’Osservatorio siriano per i diritti umani (Sohr), domenica scorsa i leader drusi hanno autorizzato l’accesso soltanto ai convogli carichi di aiuti della Mezzaluna rossa siriana, mentre hanno respinto quelli inviati dal governo ad interim di Damasco, guidato dal presidente Ahmed Al-Sharaa. ‘La popolazione li considera dei criminali’, spiega l’attivista, in riferimento alle accuse di legami tra le milizie arabe e l’esecutivo ad interim. ‘In effetti- aggiunge- il governo non sembra interessato al benessere delle minoranze’.

NEGLI ULTIMI 14 IN SIRIA C’È STATA LA GUERRA CIVILE

Lo scorso 8 dicembre, i gruppi ribelli guidati dall’ex combattente islamista Al-Sharaa sono entrati a Damasco e hanno deposto il governo di Bashar Al-Assad, un cognome che ha guidato il Paese con pugno di ferro per 50 anni. Negli ultimi 14 in Siria c’è stata la guerra civile, alimentata da scontri a geometrie variabili tra esercito, gruppi di autodifesa e milizie armate etniche sostenute anche da Paesi stranieri. Da dicembre, Sharaa ha avviato un lavoro di ricostituzione delle istituzioni e dell’economia, forte in primis del sostegno della Turchia, e poi di diversi Paesi occidentali, tra cui gli Stati Uniti, che pochi giorni prima degli scontri di Suwayda avevano annunciato la rimozione della maggior parte delle sanzioni scattate durante la guerra contro il governo Assad. Ma le rinnovate violenze aprono ‘uno squarcio nel tessuto siriano inedito e preoccupante’, come dichiara ancora all’agenzia Dire Sami Haddad, docente di lingua araba all’Orientale di Napoli e attivista politico del Partito popolare democratico siriano, tra le formazioni d’opposizione storiche. Ma per comprendere la ferita che si sta aprendo nel sud – e che rischia di infiammare una nuova guerra civile – bisogna tornare all’8 dicembre. ‘Dopo la caduta del regime- premette il docente- si è aperta una fase transitoria in cui il nuovo esecutivo ha cercato di estendere il controllo su tutto il territorio nazionale e principalmente in due aree: nel nord-est a maggioranza curda, e a Suwayda, a maggioranza drusa. Sharaa ha puntato a disarmare tutte le fazioni, per far sì che il possesso delle armi restasse appannaggio esclusivo dello Stato’.

GLI OSTACOLI LUNGO IL CAMMINO IN UN CONTESTO COMPLICATO

Ma questo processo ha incontrato molti ostacoli. Per quanto riguarda i drusi, una comunità religiosa che fonda le sue radici nell’islam, ‘sono rappresentati da tre leader religiosi, di cui il principale è Ihmad Al-Hijri’. Tale autorità drusa non ha rapporti diretti con i gruppi armati drusi, ciononostante si è opposta alla consegna delle armi all’esercito nazionale, ponendo delle condizioni: ‘Ha chiesto che venisse indetta una conferenza nazionale utile a ricomporre le divisioni e a riscrivere la Costituzione, insistendo che il rapporto col governo siriano deve essere basato su partnership e cooperazione’. Com’è evidente, da parte di questa comunità ‘c’è stata sin da subito diffidenza verso il nuovo governo’. Non è semplice dimenticare l’attacco subito nel 2018 dalle armate dell’Isis, ‘di cui i drusi accusano le tribù arabe locali di averne facilitato il passaggio verso i villaggi’. Pesa anche l’aggressione della milizia Al-Nusra ad Idlib, ‘dove sono morte un centinaio di persone di etnia drusa’. Il Fronte Al-Nusra fu creato proprio da Al-Sharaa, ai tempi in cui si faceva ancora chiamare col nome di battaglia: Abu Mohammad Al-Julani. A questa inimicizia secondo Haddad si aggiungono fatti di cronaca recente: ‘A fine aprile è stato diffuso un video in cui un capo religioso druso insultava il profeta Mohammad. Dopo si è scoperto che era falso, cionondimeno sono scoppiate violenze in varie città contro gli studenti drusi, che si sono evolute in scontri armati tra fazioni’.

IL PROCESSO DI DISARMO E I NUOVI COMBATTIMENTI

Il governo di Damasco, sul processo di disarmo, aveva già promosso un compromesso. ‘Lo Stato ha deciso di lasciare il controllo di Suwayda ai cittadini drusi- spiega Haddad- affidando però alle forze di sicurezza nazionali il controllo della strada che collega Damasco a Suwayda’. Una strada che, come evidenzia Haddad, ‘attraversa zone in cui abitano tribù beduine’. Zone a maggioranza araba, dove le armi – denunciano i drusi – non sono state tolte ai gruppi locali. ‘Dalla notizia del falso video sugli insulti al Profeta, si sono registrati incidenti sempre più gravi’, culminati nello scoppio delle violenze di domenica 13 luglio. A quel punto, prosegue l’attivista del Partito democratico popolare, ‘Damasco ha inviato – senza consultare Al-Hijri – truppe e forze di sicurezza per fermare gli scontri, ma questo ha innescato nuovi combattimenti tra forze governative e i drusi che non volevano la loro presenza sul terreno’.

OPERAZIONE MILITARE LANCIATA DA ISRAELE, DALL’8 DICEMBRE OLTRE 600 ATTACCHI

In questo quadro si innesta un’operazione militare lanciata da Israele, che dall’8 dicembre ha condotto oltre 600 attacchi, secondo stime del Sohr, contro obiettivi e infrastrutture militari siriane. Tel Aviv infatti invoca il diritto a proteggere la comunità drusa e reclama la smilitarizzazione della Siria meridionale da parte delle autorità di Damasco, ma nel frattempo ha completato l’invasione delle Alture del Golan. Dopo i fatti del 13 luglio, i caccia e i droni dell’esercito di Tel Aviv hanno colpito i convogli del ministero della Difesa e dell’Interno, giunti a Suwayda, e delle milizie arabe, causando diverse vittime. Intanto tra il governo di Sharaa e i drusi di Al-Hijri ‘sono stati siglati due cessate il fuoco che tuttavia non hanno retto, perché le Forze dell’ordine e l’esercito sono state accusate di ulteriori abusi sui civili’. Tel Aviv, per costringere le forze di sicurezza a ritirarsi, è arrivata a bombardare Damasco, radendo al suolo il palazzo dello Stato maggiore della difesa e sfiorando con un missile il Palazzo del popolo, ossia l’edificio presidenziale. ‘Neanche durante i 14 anni di guerra si è mai arrivati a bombardare due sedi delle massime istituzioni’ commenta Haddad, ‘e vedere quelle scene mi ha causato dolore, perché sono i simboli della dignità di un Paese. Non è questione di credere o meno al presidente Sharaa: io, come ogni siriano immagino, voglio la costruzione di uno Stato democratico e in questa fase Sharaa sta garantendo una certa stabilità, dopo 14 anni di massacri’.

IL GOVERNO AD INTERIM HA CREATO UNA COMMISSIONE DI INDAGINE

Da dicembre, le violenze hanno rallentato, ma non sono terminate. A maggio i droni turchi hanno smesso di bombardare le infrastrutture nel Kurdistan siriano, ma a marzo si sono registrati assalti mortali, e per giorni, contro la comunità alawita lungo la costa occidentale. Il governo ad interim ha creato una commissione di indagine ad hoc, il cui report finale è stato diffuso in settimana: conferma 1.426 uccisioni e indica una ‘lista provvisoria’ di 298 sospettati. Ma la Syria Campaign (Tsc), ong composta anche da siriani all’estero, denuncia due criticità: il rapporto ‘non riconosce la responsabilità delle autorità ad interim rispetto ai crimini commessi dalle forze di sicurezza’ e ‘nega di aver ricevuto segnalazioni di donne rapite e scomparse nello stesso periodo, nonostante i rapporti dell’Onu e della società civile’.

L’UNICA VIA D’USCITA È “DIALOGARE CON TUTTE LE COMPONENTI DELLA SOCIETÀ SIRIANA”

La strada verso la giustizia e le riparazioni appare così molto lunga. Haddad solleva un’ulteriore criticità: ‘Gli scontri a Suwayda aprono una lacerazione profondissima nel tessuto siriano. Di recente, una parte delle comunità arabo-sunnite avevano iniziato a criminalizzare i drusi, accusandoli di essere filo-israeliani. In effetti lo sheikh druso Al-Hijri si è reso complice di Israele, a cui ha chiesto protezione’. Ma Israele, per l’esperto, ‘non vuole affatto proteggere i drusi: è una copertura per destabilizzare il Paese conquistandone una regione’, un obiettivo che rientrerebbe ‘nel progetto del ‘grande Israele”, denuncia ancora Haddad, ‘lasciando il resto della Siria diviso in cantoni piccoli, legati a comunità etnico-religiose’. L’unica via d’uscita secondo Haddad sta quindi nella capacità del presidente Sharaa di ‘dialogare con tutte le componenti della società siriana. Finora ha perseguito un’agenda in modo esclusivo. Ora deve includere tutti: partiti, associazioni, minoranze, comunità religiose, per non far sentire più nessuno escluso e instaurare fiducia’.
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