ROMA – A Gaza la sopravvivenza è diventata un gesto disperato. In una tenda improvvisata sulla spiaggia, una nonna macina ceci fino a ridurli in pasta per nutrire Muntaha, tre mesi appena. Sa che le provocheranno dolore, ma è l’unico modo per tenerla in vita. La madre è morta poche settimane dopo averla partorita prematuramente, colpita da un proiettile mentre era incinta. Ora la bambina pesa poco più di tre chili e mezzo, la metà di un neonato sano della sua età. E’ una delle storie raccolte dalla Reuters, ennesima testimonianza dell’orrore nella Striscia. Del “genocidio” in corso di cui parla anche David Grossman.
Il latte artificiale per i neonati a Gaza non si trova. Molte madri non possono allattare per la malnutrizione, altre sono state separate dai figli. Chi resta prova di tutto: tisane, pane macinato, sesamo, perfino foglie bollite o mangime per animali. Alcuni arrivano a macinare la sabbia per farne farina. L’UNICEF parla di “gesti disperati che mettono a rischio la vita dei neonati”. Le scorte negli ospedali sono finite.Nell’ospedale dei martiri di Al-Aqsa, nel centro di Gaza, i medici raccontano di tentativi estremi e inutili. “Se nei prossimi giorni i bambini non avranno latte, molti moriranno», avverte il dottor Khalil Daqran. Le immagini dei piccoli emaciati hanno spinto l’ONU e le agenzie umanitarie a chiedere accesso immediato agli aiuti, ma la macchina dei soccorsi resta bloccata.
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