ROMA – Il nostro sistema democratico, come qualsiasi sistema democratico, non può fare a meno della partecipazione. Soprattutto quando arriva il momento delle elezioni, cioè quando ognuno di noi deve decidere da chi farsi rappresentare.
E’ il dato della partecipazione a segnalare lo stato di salute del sistema, è il nostro è malato da molto tempo, rischia il collasso. Quando la metà degli elettori se ne resta a casa il sistema democratico entra in crisi. Ed è ormai urgente, per tutte le forze politiche responsabili, misurarsi con questo problema. Cercare una soluzione è vitale, soprattutto per i partiti. Perché vincere e governare rappresentando, come adesso, un quarto di tutto l’elettorato, di fatto apre al rischio di essere considerati una esigua minoranza rispetto al 75 per cento che comunque non (ti) ha scelto.
E non basta dire che questo è il gioco e chi non gioca non vale. Troppo semplice, troppo comodo. Ragiona così chi non ha a cuore la democrazia, chi non vuole affrontare il problema e cerca di svicolare dalla responsabilità. Molti ricercatori, negli anni, hanno studiato l’andamento dell’astensionismo, in Italia e in Europa. Alla fine, sintetizzando, la non scelta appare dettata da alcune caratteristiche: incapacità di prendere una posizione; rifiuto dei candidati e/o dei partiti candidati; disinteresse; protesta. Che fare? In un primo momento della nostra Repubblica il voto era obbligatorio, anche se poi le sanzioni, risibili, non sono mai state applicate. Nel corso degli anni con le varie riforme si è arrivati a definire l’esercizio del voto un diritto del cittadino che, allo stesso tempo, poteva decidere di non partecipare.
E’ tempo che le forze politiche, se hanno a cuore il nostro sistema democratico, si mettano al lavoro per trovare una soluzione alla crisi attuale. Non re-introducendo il voto obbligatorio, che potrebbe spaventare e richiamare quanto avviene anche oggi in paesi dittatoriali o autocratici, ma ragionando su altre possibilità. E ce n’è una che garantisce diritto e libertà di scelta, anche se alla fine c’è una forzatura, comunque legittima, dell’interesse dello Stato. Si potrebbe riformare la norma e introdurre l’affluenza alle urne obbligatoria.
In questo modo, è il ragionamento di studiosi sul tema, che sintetizzo, non si punta semplicemente a includere e tollerare idee tendenzialmente espresse dall’astensione dal voto ma ‘a valorizzarle, conferendo loro una posizione specifica e un riconoscimento ufficiale ed istituzionale’. Indirizzando verso le urne l’espressione delle proprie convinzioni, ‘l’obbligo di affluenza rappresenta inoltre una piena appropriazione del concetto liberale di libertà: una libertà che non si rintana semplicemente nella protezione dall’interferenza esterna, ma afferma la doverosità dell’autodeterminazione e della presenza consapevole e generosa dei cittadini nella sfera pubblica’.
In questa prospettiva, tutte le posizioni considerate trovano nell’espressività del suffragio obbligatorio una conferma e insieme un adempimento della loro legittimità morale e politica. In nessun modo, l’elettore si vedrebbe strappare dallo Stato la propria pregiudiziale morale o politica ma, anzi, ‘riconoscerebbe nella morfologia di questo specifico obbligo l’opportunità per un suo contributo’.
Lasciare andare le cose non porterà nessuna soluzione. Al contrario, il distacco, la distanza dalla politica, lo si vede già adesso, renderà sempre più aspra qualsiasi competizione elettorale. Perché se partecipano sempre meno cittadini è chiaro che la partita elettorale sarà sempre più in mano alle tifoserie, che puntano al voto di pancia non alla scelta consapevole, ragionata. Una proposta c’è.
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