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Roma

Una trappola preparata da tempo: perchè i fratelli Ramponi sono accusati di omicidio premeditato


ROMA – Era una trappola mortale, un’imboscata preparata da tempo proprio per ‘accogliere’ chiunque fosse arrivato per mettere in atto lo sgombero che temevano da tempo: non è stato un incidente l’esplosione avvenuta la scorsa notte a Castel d’Azzano, in provincia di Verona, dove hanno perso la vita tre Carabinieri impegnati in una perquisizione disposta dalla Procura. I fratelli Ramponi, agricoltori che continuavano ab abitare nel casolare di Castel d’Azzano nonostante non ci fossero più nè luce nè gas, hanno agito in modo volontario. Ed è il motivo per cui l’accusa, nei loro confronti, è quella di omicidio premeditato. Ma c’è la possibilità che il reato diventi quello ben più grave di strage.

A spiegare la premeditazione è stato il procuratore capo di Verona, Raffaele Tito, che ha parlato di “un fatto volontario” e precisato che su questo “non c’è dubbio”. Ancora non sono noti tutti i dettagli della dinamica. L’innesco è probabile sia stato realizzato con una molotov, preparata appunto da tempo dai fratelli Ramponi. E appena la porta si è aperta, la trappola è scattata senza lasciare scampo ai tre militari. Il casolare, saturo di gas, è esploso, crollato (per poi prendere fuoco) e i militari sono rimasti uccisi.

Non era la prima volta che i Ramponi tentavano di opporsi allo sgombero con la forza: anche un anno fa avevano utilizzato delle bombole di gas. Secondo loro lo sfratto non era giusto, e dipendeva da una sentenza del Tribunale che era un “inganno” legato a un mutuo sottoscritto nel 2014 che prevedeva l’ipoteca di campi e casa. Franco Ramponi, però, si è sempre detto estraneo a questi documenti e aveva parlato di firme false.

LE MOLOTOV SUL TETTO

“Non siamo sicuri, ma pare che un innesco delle bombole a gas sia stato fatto con una bottiglia molotov. Sicuramente è un fatto volontario, non c’è dubbio”, ha spiegato il procuratore Tito. Quella di stanotte era “una perquisizione”, ha spiegato, alla luce del fatto che “il giudice civile aveva ordinato l’ordine di liberazione l’11 ottobre”. Visto che nei giorni precedenti erano state avvistate delle molotov sul tetto dell’edificio (e i tre fratelli Ramponi avevano rivolto delle minacce esplicite a un avvocato), il magistrato aveva deciso di firmare una perquisizione per accertare le cose e, nel caso, porre rimedio ed evitare avvenimenti pericolosi. Purtroppo nessuno aveva immaginato che la trappola fosse già pronta.

“Delle bottiglie molotov sul tetto c’erano e io volevo controllare insieme ai carabinieri. Era una cosa che abbiamo discusso anche in prefettura, erano tutti d’accordo di verificare se effettivamente queste bottiglie esistessero, e pare che esistessero”. D’altronde “l’innesco delle bombole a gas è stato fatto proprio con una bottiglia molotov, almeno così pare: è una delle ipotesi”, ha detto questa mattina.

UN INTERVENTO STUDIATO NEI MINIMI DETTAGLI

L’intervento di questa notte, ha spiegato il procuratore capo, è stato pianificato con attenzione. “Le forze dell’ordine, carabinieri, vigili del fuoco e polizia, avevano fatto un’attenta pianificazione. L’azione è stata talmente violenta che era difficile da prevedere”, ha detto il magistrato. “Stiamo valutando se effettivamente c’è strage, valuteranno i carabinieri, sicuramente è un omicidio premeditato e volontario. Secondo noi, secondo i carabinieri, non c’è dubbio. Abbiamo le bodycam, aspettiamo di avere qualche dettaglio”. Prima dell’esplosione “gli operatori hanno sentito un fischio, probabilmente delle bombole che venivano aperte”, dice ancora Tito.
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