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Il 15 ottobre è la Giornata del lutto perinatale. Come si sopravvive alla perdita di un figlio?


ROMA – Non chiamateli “bambini mai nati” e non dite mai a chi ha perso un figlio: “Tanto ne potete sempre fare un altro”. Frasi come queste sono dolorose e inadeguate. Il 15 ottobre si celebra la Giornata mondiale per la consapevolezza sul lutto perinatale e infantile, una ricorrenza istituita per rompere il silenzio e il tabù che circondano la perdita di un bambino durante la gravidanza o subito dopo la nascita, per qualunque motivo e a qualunque età gestazionale.

Questa giornata non serve a ricordare ai genitori ciò che è accaduto: chi ha vissuto questa esperienza porta nel cuore il ricordo del bambino scomparso ogni giorno dell’anno. “C’è molto bisogno di parlarne per una serie di motivi- spiega Claudia Ravaldi, presidente della Fondazione CiaoLapo- Anche a distanza di anni, i genitori che hanno vissuto questa esperienza possono avere ancora qualche pezzettino del loro lutto da rimettere a posto. Avere un giorno dedicato aiuta a riguardarsi indietro e fare il punto. Poi serve sensibilizzare non tanto i genitori, quanto la società in cui queste mamme e questi papà si ritrovano. E va sottolineato come ci sia  ancora tanta disomogeneità negli ospedali nella gestione del lutto perinatale. La solitudine dei genitori in metà Italia è ancora schiacciante, soprattutto al Sud e nelle isole”.

L’ONDA DI LUCE E I NUMERI DEL LUTTO PERINATALE

In Italia, l’associazione CiaoLapo Onlus promuove da oltre venti anni il Baby Loss Awareness Day, coinvolgendo centinaia di comuni e migliaia di famiglie. L’iniziativa culmina con l’Onda di Luce, un gesto simbolico che consiste nell’accendere candele alle 19:00 ora locale, creando un abbraccio luminoso che attraversa il mondo intero. Questo evento mira a sensibilizzare l’opinione pubblica sulla realtà del lutto perinatale e a offrire sostegno alle famiglie colpite. Inoltre, il mese di ottobre è dedicato al Baby Loss Awareness Month, un periodo in cui si intensificano le attività di sensibilizzazione e supporto. Una donna su sei che inizia una gravidanza desiderata purtroppo deve fare i conti con la gestazione che si interrompe. E anche se la maggior parte delle potenziali morti in utero vengono evitate, due bambini su mille perdono la vita dal concepimento al primo anno di vita senza che la medicina abbia una spiegazione. In Italia nascono poco meno di 400 mila bambini all’anno, questo significa che ci sono circa 800 neonati non arrivano ai dodici mesi. I dati sono diffusi dall’associazione Ciao Lapo onlus.

UN LUTTO CHE COLPISCE LA DONNA, MA NON SOLO

È indiscutibile che il lutto perinatale colpisca maggiormente la donna, sia sul piano fisico che psicologico. Frasi come “Avete già un figlio, perché preoccuparvi?” o “Aspettate qualche mese e poi riprovateci” hanno spesso ferito profondamente le coppie che hanno perso il loro bambino. Ma il dolore non riguarda solo le mamme. Anche i papà ne sono profondamente coinvolti, sebbene fino a qualche anno fa fossero spesso trascurati. “La società tende a considerare gli uomini come forti e concentrati sul prendersi cura della partner, senza concedere loro momenti per elaborare il lutto- spiega Ravaldi- Così il padre tiene duro nei primi sei mesi, ma poi cede. Il tentativo di reggere a tutti i costi può ritardare l’elaborazione del lutto”. Per questo è essenziale non dimenticare l’altra metà della coppia: spesso emergono fragilità nella relazione che erano rimaste nascoste.

COME DIRLO AI FRATELLINI E ALLE SORELLINE

Un altro aspetto delicato riguarda i fratellini e le sorelline che aspettavano il nuovo arrivato e si ritrovano invece con mamma e papà senza il bebè. “Parlo soprattutto dei bambini fino ai cinque anni, spesso con fratelli ravvicinati- precisa Ravaldi- Per loro la morte è un concetto astratto e bisogna portarli al piano concreto, con molta pazienza. Non c’è fretta di spiegare tutto subito e serve coerenza tra gli adulti su cosa dire. È importante usare parole semplici e immagini, evitando bugie o storielle: se non si sa qualcosa, meglio ammetterlo”.

COME SI SOPRAVVIVE?

“L’elaborazione del lutto va presa sul serio. Non è semplicemente necessario aspettare che passi del tempo. Bisogna sedersi affianco a questa esperienza per tornare a vivere, non solo a sopravvivere. Si può sempre iniziare ad elaborare il lutto, anche dopo molto tempo dall’evento. Ma per fare un lavoro su sè stessi nella quotidianità servono almeno due o tre anni. Non è vero che bastano un po’ di mesi o che una nuova gravidanza cancella ogni cosa- conclude Ravaldi- Più il genitore riesce a stare nella propria storia con rispetto, dignità e con uno spazio per aggiungere nuovi capitoli, più la vita sarà piena. Rabbia ed ansia sono fisiologiche nei primi anni. Poi, come dicono spesso i papà, arriva un momento in cui si torna a sorridere. E anche a ridere”.

(L’intervista a Claudia Ravaldi è stata estratta da un articolo del quotidiano ‘Il Nord Est’)
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