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Cancro alla vescica, recidiva ridotta del 32% con immunoterapia durvalumab: lo studio

(Adnkronos) –
Recidiva ridotta del 32% per pazienti con cancro alla vescica grazie all’immunoterapia durvalumab. Sono i risultati dell’analisi finale dello studio (di fase 3) Potomac presentati oggi, venerdì 17 ottobre, al congresso della European Society for Medical Oncology (Esmo) a Berlino e contemporaneamente pubblicati sulla rivista scientifica ‘The Lancet’. 

Con oltre 614.000 diagnosi all’anno nel mondo, il tumore della vescica è il nono per diffusione a livello globale, la quinta neoplasia per incidenza nella popolazione in Italia, con circa 31.000 nuovi casi stimati nel 2024. Il tipo più comune è il carcinoma uroteliale che ha origine nelle cellule uroteliali del tratto urinario. Più del 70% dei pazienti presenta diagnosi di carcinoma della vescica non muscolo-invasivo (Nmibc), che in fase iniziale colpisce il tessuto che riveste la superficie interna della vescica senza invadere la parete muscolare.  

Circa la metà dei pazienti con Nmibc viene classificata ad alto rischio di progressione di malattia o di recidiva a causa di determinate caratteristiche del tumore, tra cui il grado e lo stadio. Proprio per questi pazienti arrivano le buone notizie. 

I risultati presentati oggi nella sessione late-breaking Proffered Paper del congresso mettono in evidenza importanti progressi per prolungare la sopravvivenza. Gli esiti positivi dello studio (abstract #LBA108) hanno mostrato che l’aggiunta di un anno di trattamento con l’immunoterpaia durvalumab alla terapia di induzione e mantenimento con Bacillus Calmette-Guérin (BCG) ha prodotto un miglioramento statisticamente significativo e clinicamente rilevante della sopravvivenza libera da malattia (Dfs) nei pazienti con carcinoma della vescica non muscolo-invasivo (Nmibc) ad alto rischio naïve a Bcg, rispetto al solo trattamento con Bcg. 

Al follow-up mediano di oltre cinque anni (60,7 mesi), il regime con durvalumab ha mostrato una riduzione del 32% del rischio di recidiva (o di morte in assenza di recidiva) rispetto al braccio di confronto (hazard ratio per Dfs 0,68; intervallo di confidenza 95% 0,50-0,93; p=0,0154). La Dfs mediana stimata non è stata raggiunta in entrambi i bracci. Si stima che l’87% dei pazienti trattati con il regime durvalumab sia vivo e libero da malattia a due anni rispetto all’82% nel braccio comparatore. Lo studio non è stato disegnato statisticamente per rilevare formalmente la sopravvivenza globale (Os). Tuttavia, al follow-up mediano di oltre cinque anni (65,6 mesi, maturità 14%), un’analisi descrittiva ha mostrato un Hr per Os di 0,80 (CI 95% 0,53-1,20), senza differenza statisticamente significativa tra i due bracci. 

“Il trattamento standard per i pazienti con tumore della vescica non muscolo invasivo ad alto rischio – afferma Lorenzo Antonuzzo, direttore dell’Oncologia medica Careggi, Università di Firenze – prevede l’utilizzo della terapia con Bcg, dopo la resezione transuretrale della neoplasia. L’obiettivo – spiega – è ridurre il rischio di recidive locali, ma si verifica ancora un’alta percentuale di ricadute, che possono portare a interventi chirurgici ripetuti e trattamenti più invasivi, compresa la rimozione della vescica, con un profondo impatto sulla qualità di vita dei pazienti. Da qui l’esigenza di nuove opzioni di cura”. 

“I risultati dello studio Potomac dimostrano che l’aggiunta di durvalumab, per 12 mesi, alla terapia di induzione con Bcg è in grado di ridurre il rischio di recidiva del 32%, consentendo a un maggior numero di pazienti di rimanere vivi e liberi da malattia dopo due anni. È una vera innovazione, in un setting di pazienti trattati a intento curativo, in cui non si registravano progressi da almeno un decennio”. 

“Diventa così più concreta – aggiunge Antonuzzo – la possibilità di guarigione anche in pazienti ad alto rischio di recidiva. Anche da un punto di vista psicologico, il termine di un anno della cura è davvero importante per le persone colpite dal tumore. Gli importanti risultati dello studio Potomac si aggiungono ai risultati positivi dello studio Niagara, che ha dimostrato efficacia nei suoi endpoint, tra cui la sopravvivenza globale positiva nel setting del tumore della vescica muscolo-invasivo, confermando l’efficacia di durvalumab in questa patologia. In Italia è inoltre attivo un Expanded Access Program, cioè un programma di accesso precoce, per il trattamento dei pazienti con malattia muscolo-invasiva”.  

“Le prospettive aperte dalla combinazione dell’immunoterapia – spiega Massimo Di Maio, presidente eletto Aiom – con la terapia standard Bcg implicano ricadute rilevanti anche sotto il profilo organizzativo. Oggi i pazienti con malattia non muscolo-invasiva ad alto rischio, nella maggior parte dei centri, sono gestiti solo dagli urologi, perché i trattamenti endovescicali, in particolare la terapia con Bcg, sono eseguiti negli ambulatori di urologia. In futuro, l’integrazione fra l’oncologia e l’urologia diventerà fondamentale, per garantire ai pazienti l’accesso all’innovazione costituita dalla combinazione dell’immunoterapia con la terapia standard”. 

Nel 2024, circa 125.000 pazienti sono stati trattati per Nmibc ad alto rischio, per i quali l’attuale standard di cura è costituito da resezione transuretrale del tumore alla vescica (Turbt) seguita dall’instillazione di Bcg direttamente nella vescica. Circa l’80% dei pazienti presenta recidiva di malattia a cinque anni e i tassi di progressione nei pazienti ad alto rischio possono arrivare al 30%. Numerosi pazienti con malattia recidivata vengono sottoposti a cicli aggiuntivi di chemioterapia e a ripetute procedure invasive come la Turbt, oppure si verifica la potenziale necessità di cistectomia (chirurgia per la rimozione della vescica), sottolineando la grande esigenza di nuove opzioni terapeutiche in questo setting a intento curativo. 

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