ROMA – È morto Giovanni Cucchi, il papà di Stefano Cucchi: aveva 77 anni ed era malato da tempo. La moglie Rita è venuta a mancare tre anni fa e la sua scomparsa ha influito negativamente sulle sue condizioni di salute. La notizia è stata data sui social dall’avvocato Fabio Anselmo, che ha assistito la famiglia Cucchi nel processo e che da tanti anni è compagno della sorella di Stefano, Ilaria, che è senatrice. “Ci sono parole che non si dimenticano, che restano incise anche quando le voci che le hanno pronunciate si spengono. Da oggi purtroppo Giovanni Cucchi, padre di Stefano, non c’è più. Molti – troppi – hanno scritto e detto che a Giovanni non fregava nulla di suo figlio, che lo avesse abbandonato, che Stefano fosse solo. Lo hanno fatto per anni, per giustificare l’ingiustificabile, per infangare una famiglia già distrutta dal dolore. Eppure, quella verità costruita a tavolino è crollata davanti a un’aula di tribunale, quando Giovanni ha letto la lettera che Stefano gli aveva scritto due anni prima di morire”, ha scritto Anselmo su Instagram.
L’avvocato Anselmo, oggi che GIovanni è morto, ha scelto di riproporre l’inizio della lettera di Stefano Cucchi, che il 26 agosto 2006 voleva dare un nuovo corso al rapporto con suo padre nel giorno del suo compleanno. Scrivendo: “Caro papà, ti sto scrivendo sul treno, quel treno che tante volte ho preso per la disperazione e non mi portava mai a destinazione. Beh, adesso questo treno mi porta da te, forse la persona più importante della mia vita. Dopo tante battaglie e scontri, finalmente ci siamo ritrovati,io con una nuova e inaspettata voglia di vivere e di fare grandi cose, come neanche immaginavo mesi fa.Tu che sei così grande, un costante punto di riferimento, un uomo che forse non ha mai smesso di credere in me, forse l’unico. Un padre che amo, che ha sofferto, e che io ora non voglio più che stia male. Capisci? La vita comincia ora. La nostra”.
Questa stessa lettera è stata letta in aula, durante il processo, da Giovanni Cucchi, con grande commozione. Anselmo oggi lo ricorda: “Giovanni, mentre leggeva davanti alla Corte quelle righe, tremava. La voce si spezzava, ma non si fermava. In quell’aula si è sentito il silenzio pesante di chi, per anni, ha accusato quella famiglia di menefreghismo, di vergogna, di ipocrisia. Quelle parole – semplici, umane, limpide – hanno distrutto anni di odio, menzogne e depistaggi. A chi ha scritto che Giovanni “non c’era”, a chi ha detto che “se lo meritava”, a chi ancora oggi commenta senza sapere: leggete questa lettera. È la voce di un figlio che amava suo padre. Di un ragazzo che voleva vivere, non morire in una cella. Di una famiglia che non ha mai smesso di esserci. Giovanni, con la tua voce hai dato voce a tuo figlio. Grazie per la tua forza”.
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