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Cancro alla prostata, Dna potrebbe svelare rischio basso o alto: lo studio

(Adnkronos) –
Il cancro alla prostata è uno dei tumori maschili più frequenti: è la seconda neoplasia più comune tra gli uomini a livello mondiale e la più diffusa nei Paesi occidentali, con oltre 1,4 milioni di nuovi casi diagnosticati ogni anno secondo i dati del Global Cancer Observatory. La malattia pone ai medici e ai pazienti anche una sfida aggiuntiva: la valutazione del rischio. 

Se infatti la maggior parte dei casi si manifesta in forma indolente e a crescita lenta, circa il 20% evolve verso forme metastatiche e letali, e distinguere tra le due categorie di pazienti non è facile, segnalano gli esperti. Un nuovo studio italiano suggerisce che potrebbe essere l’architettura del Dna a svelare se si è in presenza di un caso a basso o ad alto rischio. Il team di ricercatori, sostenuto dalla Fondazione Airc, ha usato un approccio innovativo. E ha mostrato che, a partire da un’unica biopsia, sembra possibile identificare l’organizzazione tridimensionale del Dna nel nucleo cellulare. Un’informazione ritenuta preziosa per capire qualcosa di più sul ‘destino’ dei casi di cancro prostatico. 

 

I numeri testimoniano l’urgenza di migliorare queste valutazioni e di conseguenza l’accesso dei pazienti alle terapie più giuste per loro: basti pensare che nella sola Ue la patologia colpisce circa 450mila uomini l’anno, mentre in Italia si registrano oltre 36mila nuovi casi annui, soprattutto sopra i 65 anni d’età. 

L’attuale percorso diagnostico si basa sulla valutazione istologica di biopsie multiple, condotta solitamente a seguito di livelli elevati di Psa o di esami rettali, da parte dello specialista, dall’esito anomalo. Tuttavia la variabilità clinica e la multifocalità del tumore prostatico rendono difficile prevedere con precisione l’evoluzione della malattia, portando spesso al sovra-trattamento di pazienti con forme che col senno di poi si rivelano silenti, con un impatto negativo sulla qualità di vita. 

Lo studio pubblicato su ‘Nature Communications’ è stato coordinato da Chiara Lanzuolo e Francesco Ferrari, ed è frutto della collaborazione tra il Cnr (Consiglio nazionale delle ricerche), l’Ifom (Istituto Airc di oncologia molecolare), l’Ingm (Istituto nazionale di genetica molecolare) e l’Irccs Policlinico di Milano. “La forma della cromatina, cioè l’architettura del Dna e delle proteine che lo regolano, è da tempo riconosciuta come un indicatore dell’aggressività di diversi tipi di tumore – spiega Lanzuolo, ricercatrice Cnr e direttrice del laboratorio di ‘Chromatin and Nuclear Architecture’ all’Ingm – Noi ci siamo chiesti se alterazioni nell’organizzazione della cromatina dei tumori al momento della diagnosi potessero fornire informazioni prognostiche più accurate rispetto ai metodi tradizionali. Abbiamo inoltre scelto di studiare il tessuto intero per avere informazioni sul microambiente tumorale, che nel caso della prostata ha caratteristiche peculiari perché le cellule neoplasiche crescono in piccole masse disseminate in tutto l’organo”. 

 

Utilizzando la tecnologia ‘4f-SAMMY-seq’, sviluppata nell’ambito di una collaborazione di lungo termine tra gli istituti, i ricercatori hanno analizzato campioni bioptici prelevati alla diagnosi, in collaborazione con gli urologi Giancarlo Albo e Manuele Montanari del Policlinico di Milano. Il metodo ha rivelato che i campioni di controllo mostrano un’organizzazione conservata della cromatina, mentre i campioni tumorali presentano alterazioni specifiche per ogni paziente.  

“Analizzando l’organizzazione della cromatina dei tumori – illustra Ferrari, direttore del laboratorio di Genomica computazionale di Ifom e ricercatore del Cnr – sono stati identificati due sottotipi distinti. Uno è caratterizzato da un basso grado di riorganizzazione della cromatina, mentre l’altro mostra un elevato riassetto del genoma. Successivamente, integrando tecniche di biochimica, biologia molecolare e bioinformatica, è emerso un paradosso inaspettato: il sottotipo con alterazioni più estese nell’organizzazione del genoma è associato a una prognosi più favorevole”. 

“Abbiamo deciso – prosegue Lanzuolo – di mettere a confronto i due sottotipi tumorali per identificare una firma molecolare in grado di predire il decorso clinico dei pazienti. La firma individuata consiste di 18 geni e può rappresentare uno strumento concreto per la stratificazione del rischio. Abbiamo validato tale firma con i dati, contenuti in database internazionali e relativi a oltre 900 pazienti, confermando la solidità del nostro approccio”. Questo studio, aggiungono Ferrari e Lanzuolo, “è stato possibile grazie a una collaborazione di lungo corso tra i nostri gruppi di ricerca, e grazie alle sinergie stabilite tra i nostri istituti. Questo ha consentito di costituire un team realmente interdisciplinare di ricercatori che hanno costruito nel tempo i tasselli di conoscenza necessari a raggiungere il risultato”. Oltre a distinguere i tumori a basso rischio da quelli aggressivi, i risultati hanno anche evidenziato differenze nell’attività di geni chiave per la crescita tumorale.  

Le informazioni che emergono dal lavoro, riflettono Lanzuolo e Ferrari, “aprono prospettive concrete per la medicina di precisione nel tumore prostatico. Se validata in ulteriori studi preclinici e clinici con i pazienti, la firma molecolare identificata potrebbe essere implementata nella pratica clinica. Potrebbe così aiutare urologi e oncologi a distinguere già alla diagnosi i tumori a basso rischio da quelli destinati a progredire, guidando decisioni terapeutiche sempre più precise e mirate e riducendo il rischio di sovra-trattamento. Le prossime ricerche si concentreranno sui pazienti già sottoposti a trattamenti farmacologici, con l’obiettivo di identificare chi può beneficiare maggiormente delle terapie disponibili e portare, potenzialmente, all’implementazione di questo test diagnostico nella pratica clinica”. 

Gli autori, oltre a ringraziare Fondazione Airc per il sostegno a uno studio che “rappresenta un esempio concreto di come la ricerca italiana possa contribuire al progresso della medicina di precisione”, citano anche “i giovani ricercatori Valentina Rosti, Giovanni Lembo e Cristiano Petrini” per il “ruolo cruciale” avuto “nel garantire il successo dello studio”. Studio che, interviene Rosti (borsista Cnr e autrice co-corresponding dell’articolo), è stato “un vero percorso di crescita. E’ stato motivante lavorare fianco a fianco con medici e bioinformatici in un progetto così interdisciplinare e contribuire a una ricerca che può avere un impatto concreto sulla vita dei pazienti”. 

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