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Ucraina, sanzioni sul petrolio e no al summit: sorpresa a Mosca per lo ‘strappo’ di Trump

(Adnkronos) – Un colpo al cuore dell’economia russa e un colpo alla convinzione di Vladimir Putin di aver ‘raggirato’ per l’ennesima volta Donald Trump. Le nuove sanzioni americane sul petrolio russo, sono state definite “un atto ostile” degli Usa dal presidente russo che, però, ha precisato, non avrà ripercussioni sull’economia del Paese.  

”Lo vedremo tra sei mesi” se la Russia, come dice il leader del Cremlino Vladimir Putin, è davvero immune dalle sanzioni. ”Sono contento che la pensi così” dice Trump. 

Anche secondo molti analisti le sanzioni americane non “morderanno” davvero, a meno di introdurre anche sanzioni secondarie. Il vero “strappo”, sottolineano parlando con l’Adnkronos, è la cancellazione del vertice di Budapest, che era stato concordato nella telefonata del 16 ottobre scorso tra il presidente americano e il presidente russo. Un colloquio, avvenuto alla vigilia dell’incontro alla Casa Bianca tra Trump e Volodymyr Zelensky, mentre sembrava quasi cosa fatta l’invio dei Tomahawk e Kiev, e che aveva ricambiato le carte in tavola. 

Le sanzioni contro Rosneft e Lukoil sono “importantissime”, come detto anche dal presidente ucraino, e lo sono soprattutto per “il forte messaggio politico”, ma al Cremlino “non si aspettavano che il no al vertice di Budapest venisse messo così nero su bianco”, dicono gli osservatori a Mosca, bloccando apparentemente anche i preparativi dietro le quinte per quell’incontro. Che, dopo il fallimento del summit di Ferragosto in Alaska, si presentava ancora di più in salita.  

“Affidare le intese, dopo la telefonata tra i leader, a Marco Rubio e Sergei Lavrov non lasciava presagire progressi a breve”, sostiene una fonte a Mosca, sottolineando come i capi delle due diplomazie “incarnino l’ostilità reciproca dei rispettivi apparati”. Addirittura si ricorda che in un’occasione Putin dovette ricordare a Lavrov che è il ministro degli Esteri e non della Guerra. E che Rubio sia il ‘falco’ dell’amministrazione americana contro la Russia è noto da sempre. 

Non che intorno al Cremlino volino molte ‘colombe’: fra loro ci sarebbe Kirill Dmitriev, ceo del Fondo russo per gli investimenti diretti (Rdif), che è portatore di quegli ambienti più sensibili ai dati economici, che, a dispetto della propaganda, continuano a virare in negativo, dall’aumento del deficit a quello dell’inflazione, fino a quello del prezzo della benzina, su cui impattano gli attacchi ucraini contro le infrastrutture energetiche russe. Non è un caso che, se pubblicamente continua a indossare la maschera del falco, a porte chiuse, durante la recente riunione del club Valdai a Sochi, Lavrov avrebbe lanciato messaggi “più dialoganti” e non solo su temi economici. 

“L’intransigenza sui temi di fondo comunque non si incrina”, avvertono gli analisti, concordi nel ritenere che le sanzioni, seppure abbiano inferto uno dei colpi più duri agli sforzi di Putin di convincere Trump a costringere l’Ucraina alla resa, difficilmente modificheranno gli obiettivi del presidente russo. In primis quello di avere il Donbass. Le aziende russe si stanno preparando da tempo alla possibilità di un inasprimento delle sanzioni, ha commentato Tatiana Stanovaya, fondatrice della società di analisi politica R.Politik, citata dal New York Times, secondo cui Putin rimane disposto a sopportare enormi perdite per raggiungere i suoi obiettivi e Trump potrebbe benissimo cambiare nuovamente idea. “Per il presidente russo questa guerra rimane esistenziale ed è pronto a sopportare molto”, sostiene Stanovaya. “Le sanzioni sono controproducenti, abbiamo sviluppato una solida immunità”, ha commentato tranchant la portavoce del ministero degli Esteri di Mosca, Maria Zakharova, avvertendo che il risultato “sarà disastroso per la politica interna americana e per la stabilità dell’economia mondiale”. 

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