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‘Fu un agguato, non ho dubbi!’ Dante Ferretti ricorda Pasolini

(Adnkronos) –
Dante Ferretti, tre volte premio Oscar e tra i più celebri scenografi al mondo, ha lavorato con Pier Paolo Pasolini, ucciso nella notte tra l’1 e il 2 novembre 1975, in otto film: “nel primo, ‘Il Vangelo secondo Matteo’, avevo a malapena 18 anni”, racconta all’Adnkronos. “Ero l’assistente di Luigi Scaccianoce, che aveva l’abitudine di accettare più incarichi contemporaneamente. Mentre giravamo tra i sassi di Matera, Pasolini mi chiedeva dove fosse lo scenografo, che si presentava sul set una o due volte a settimana, e io dovevo accampare scuse e inventare urgenti impegni familiari. Successe anche in due film successivi, ‘Uccellacci e uccellini’ con Totò e l’’Edipo Re’ che girammo in Marocco, a Ouarzazate, A quel punto però Pasolini sapeva che a guidare il lavoro c’ero io, e nel frattempo si era creato un rapporto solido fatto di fiducia e rispetto: ‘Meglio così, noi ci capiamo’, mi diceva”.  

‘Edipo Re’ nel 1968 vinse il Nastro d’Argento per la scenografia, ma dal palco Scaccianoce neanche menzionò il suo assistente Ferretti, che in realtà aveva fatto tutto il lavoro. “Mi aveva detto che neanche sarebbe andato alla cerimonia”, ricorda lo scenografo, che negli anni successivi si rifece ampiamente di questa ingiustizia: grazie al suo lavoro con Fellini, Scorsese, Zeffirelli, Tim Burton, e al sodalizio sentimentale e professionale con la moglie Francesca Lo Schiavo, è stato candidato a 10 Oscar (di cui tre vinti) e ha ricevuto 4 Bafta, 4 David di Donatello, e 12 Nastri d’Argento.  

E’ con ‘Medea’ che diventa ufficialmente lo scenografo di Pasolini. “Avevo appena finito un lavoro con Fellini. Esco di casa per andare a mangiare uno spaghetto da Mastino a Fregene e passare la giornata al mare, ma mi dimentico una cosa e risalgo a casa. Squilla il telefono: ‘Ferretti, deve partire subito per la Cappadocia! Domani è il primo giorno di riprese e il regista la vuole sul set’. Non sapevo nulla del film, che aveva un’altra scenografa, ma parto con il primo volo, arrivo sul set il giorno dopo e trovo una produzione che è lì da settimane senza aver girato nulla. Mi danno quattro ore per allestire il carro su cui deve salire la Callas. Mi faccio aiutare da chi conoscevo sul set, tra cui Piero Tosi e Gabriella Pescucci (in seguito anche lei premio Oscar, ndr) e riusciamo a portare a casa la prima scena. Pasolini si avvicina e mi dice ‘Benissimo, stanotte lei si legge il copione e domani si riparte” (i due si sono dati del lei fino all’ultimo giorno).  

Dopo ‘il Decameron’ (1971) Pasolini lo definisce ‘il mio pittore’ per la capacità di costruire ambienti che sembrano affreschi medievali viventi. Il secondo capitolo della ‘Trilogia della Vita’, ovvero ‘I racconti di Canterbury’, lo girano in Inghilterra, mentre il terzo, ‘Il Fiore delle mille e una notte’, è ambientato tra Medio Oriente, Africa e Asia. Arriva il 1975, anno di ‘Salò o le 120 giornate di Sodoma’, l’ultimo film del regista. “Non era ancora uscito in Italia. Lo aveva appena presentato a Parigi e sapevamo che avrebbe creato grande scandalo”, ricorda Ferretti.  

In quegli anni Pasolini pubblica articoli affilati sul ‘Corriere della Sera’ e inizia a scrivere ‘Petrolio’, un romanzo di durissima critica politica e sociale, in cui dice che avrebbe fatto “nomi e cognomi”. Ci aveva lavorato nella Torre di Chia, rudere di un antico castello nel viterbese che Dante Ferretti aveva contribuito a ridisegnare e restaurare. “Si fece molti nemici”, prosegue lo scenografo nel suo colloquio con l’Adnkronos. “Sono sicuro che il suo omicidio fu un agguato, è stato condannato Pino Pelosi ma c’erano altre persone. L’avvocato della famiglia, Nino Marazzita, mi mandò sul luogo del delitto, all’Idroscalo di Ostia, per fare fotografie, prendere le misure e disegnare la scena del crimine. Era chiaro dalle impronte, dal sangue e dai segni che fu opera di un gruppo”.  

Ferretti ha dedicato un libro intimo e profondo al loro rapporto. “Bellezza imperfetta. Io e Pasolini”, pubblicato da Edizioni Pendragon nel 2024 e curato da David Miliozzi, è molto più di un memoir: è un viaggio onirico nella memoria di un’amicizia che ha segnato per sempre la vita e la carriera dello scenografo. “Sono felice per come il libro è stato accolto”, conclude. “Per troppi anni Pasolini non è stato riconosciuto per il suo talento e la sua genialità. Mi diceva sempre: ‘Le cose fatte bene sembrano finte, l’imperfezione è necessaria perché appaia la verità’”. 

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