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Il fantasma del Vietnam

Nel 1954, dopo il periodo coloniale francese, il Vietnam fu suddiviso in due entità: il Nord, sostenuto da ideologie comuniste e supportato dall’Unione Sovietica e dalla Cina, e il Sud, appoggiato dagli Stati Uniti. A seguito dell’incidente del Golfo del Tonchino, avvenuto tra il 2 e il 4 agosto 1964, in cui gli statunitensi dichiararono che un loro cacciatorpediniere era stato attaccato da quattro motosiluranti vietnamiti, gli Stati Uniti decisero di intervenire militarmente. Nel contesto aereo, il Vietnam utilizzava caccia di origine russa, con il nuovo velivolo, il temibile MiG-21, oltre ai già noti MiG-17 e 19. Questo caccia era dotato di un armamento comprendente un cannone NR-30 da 30 mm e inizialmente due missili Atoll (successivamente aumentati a quattro), e si contraddistingueva per la sua velocità e manovrabilità, rendendolo letale in combattimento ravvicinato, specialmente se pilotato da mani esperte. Le forze americane, sia Marina che USAF, schierarono principalmente il McDonnell Douglas F-4 Phantom II, un velivolo inizialmente progettato come cacciabombardiere per la difesa della flotta della U.S. Navy e non per dogfight, risultando quindi meno agile in tali situazioni. Tuttavia, l’F-4 presentava dei vantaggi rispetto ad altri aerei: innanzi tutto un radar migliore, una tecnologia all’avanguardia, ma anche un fattore che si trascura molto: l’introduzione di un secondo membro d’equipaggio. Questo componente, denominato RIO (Radar Intercept Officer), oltre a ridurre il carico di lavoro del pilota, forniva un ulteriore supporto nell’individuazione visiva e nel tracciamento degli aerei nemici, un aspetto determinante in guerra. Le versioni iniziali del Phantom erano equipaggiate esclusivamente con missili, consistenti in quattro AIM-9 Sidewinder e quattro AIM-7 Sparrow, poiché la Marina riteneva superfluo l’uso di un cannone. Questo fu un errore gravissimo, come dimostrato dall’andamento degli scontri aerei. I tanto decantati missili Americani, presentavano una percentuale di abbattimenti sorprendentemente bassa, circa il 18% per il Sidewinder e addirittura il 9% per lo Sparrow; preoccupante era il fatto che oltre il 60% dei malfunzionamenti fosse attribuibile ai missili stessi, piuttosto che ad errori di mira dei piloti. Inoltre, il disturbo causato dal calore terrestre a bassa quota, influenzava negativamente i missili AIM-9, specialmente in un ambiente caldo come quello vietnamita, confondendo il sistema di guida termica ad infrarossi. I piloti americani erano in una situazione di frustrazione e preoccupazione a causa dell’inaffidabilità delle loro armi. Spesso si ritrovano inermi, dopo aver esaurito tutti i missili, senza abbattere alcun nemico e privi di cannone come risorsa. Per ovviare a questa grave lacuna, fu sviluppato l’F-4E per l’USAF, dotato di un cannone interno, e l’F-4J per la Marina, che fu retroattivamente equipaggiato con un pod ventrale contenente un cannone Vulcan da 20 mm. MiG-21 1/48 di Paolo Colaiacomo Nonostante il Phantom fosse tecnologicamente più avanzato e dotato di un radar superiore, F-4 e e MiG-21 si trovavano su un piano pressocché paritario in combattimento, rendendo fondamentale abilità dei piloti e tattiche di combattimento aereo. Fortunatamente per gli Stati Uniti, i MiG-21 erano relativamente pochi, con non più di una settantina di aerei operativi contemporaneamente; mentre invece la maggior parte della flotta (circa 130) era costituita da Mig-17 e 19, che presentavano prestazioni inferiori. Per preservare i Fishbed (MiG-21), venivano impiegati in tattiche di attacco rapido, dette mordi e fuggi, eseguendo attacchi a sorpresa da quote elevate sfruttando la loro velocità, effettuando uno o due passaggi sul nemico e poi ritirandosi in sicurezza. Gli americani cercavano di abbattere i MiG utilizzando la tattica “Missile-first”, che prevedeva di sfruttare la velocità del velivolo e del missile per colpire l’avversario alla massima distanza, evitando così il combattimento ravvicinato. Inoltre, si utilizzarono tattiche basate sull’inganno, come quella sviluppata dal grande asso americano Robin Olds: l’USAF camuffava il segnale radio degli F-4 per farlo apparire simile a quello dei vulnerabili F-105, incoraggiando i MiG ad attaccare un bersaglio apparentemente facile, trovandosi invece di fronte a caccia Phantom ben armati, pronti a ingaggiarli e abbatterli. Il bilancio finale per l’F-4 riportava 148 vittorie aeree, a fronte di 38 velivoli perduti. Nei confronti del MiG-21, il rapporto si attestava a 5,5 a 1, ovvero un Phantom perso ogni 5,5 Fishbed abbattuti; una cifra che, sebbene possa sembrare positiva, in realtà evidenziava lacune da parte della Marina e dell’Esercito statunitense, che, con mezzi e numeri superiori, avrebbero dovuto registrare un minor numero di perdite. Gli Accordi di pace di Parigi del 1973 sancirono la conclusione del conflitto, con la sospensione delle ostilità americane e dichiarando vincitore il Vietnam del Nord. Il rapporto totale, calcolando tutti i tipi di velivoli, fu di soli 2,5 nemici abbattuti per ogni aereo statunitense perso, contro il 14:1 registrato durante la Seconda Guerra Mondiale e il 12:1 durante la Guerra di Corea. La U.S. Navy commissionò al Capitano Frank W. Ault un resoconto per stabilire le cause di queste prestazioni insoddisfacenti: il rapporto, denominato Ault, individuò che le scarse performance dei caccia della marina non fossero attribuibili a mancanze tecniche dei velivoli, ma all’impreparazione dei piloti, sia dal punto di vista tecnico che tattico. Pertanto, questo conflitto evidenziò per gli Stati Uniti la necessità di formare i piloti al combattimento, sia di giorno che di notte, in ogni condizione meteorologica e in ogni parte del mondo. Così, nel 1969 a Miramar, si avviò un nuovo percorso addestrativo, denominato United States Navy Fighter Weapons School, meglio conosciuto con il nome che è diventato leggendario: Top Gun.

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