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Il Cinema piange Lina Wertmuller: regista e sceneggiatrice ribelle e geniale

“Una donna con un appetito vorace. Che si tratti di sesso, sole o socialismo”. Così avevano definito Lina Wertmuller, la prima regista donna della storia ad essere candidata all’Oscar (era il 1975 e il film in questione “Pasqualino Settebellezze”), che un Oscar ha poi finito per ottenerlo lo scorso anno, anche se alla carriera: è morta questa mattina all’età di 93 anni.

Dal teatro dei burattini a cinema e tv
Arcangela Felice Assunta Wertmüller von Elgg Spanol von Braueich era una ribelle. Nata nella capitale da una famiglia benestante di origine lucana e romana ma di antica nobiltà svizzera nel 1928, da ragazzina si distingue facendosi espellere da ben undici licei romani. La svolta nella vita e nella carriera si ha con l’iscrizione a L’Accademia di arte drammatica diretta da Pietro Scharoff a diciassette anni. Da lì per Wertmüller comincia una lunga gavetta nel mondo dello spettacolo ricoprendo i ruoli più disparati, dalla regia per spettacoli di burattini per la compagnia l’Opera dei Burattini della scenografa e costumista Maria Signorelli, di cui fecero parte in seguito anche personalità come Gabriele Ferzetti e Carlo Verdone, ad autrice televisiva per la prima edizione di “Canzonissima” sotto la regia di Antonello Falqui nel 1958. Le prime esperienze cinematografiche arrivarono in quegli stessi anni dapprima come segretaria di edizione in “…e Napoli canta!” nel 1952, ma soprattutto come aiuto regista nei due capolavori felliniani “La dolce vita” nel 1960 e “8½” del 1963. E il 1963 segna il fortunatissimo esordio dietro la macchina da presa con “I basilischi”, una sorta di “Vitelloni” in salsa pugliese incentrato su tre giovani di buona famiglia, talmente abituati al dolce far niente della loro piccola provincia da renderli completamente apatici.

Gian Burrasca e i primi film “di peso”
Un altro grande successo, questa volta televisivo, porta Lina Wertmüller all’attenzione nazionale: Il giornalino di Gian Burrasca, sceneggiato Rai in otto puntate, destinato prevalentemente ad un pubblico giovane ma che conquistò anche gli adulti, non solo grazie alla simpatia degli interpreti (Rita Pavone nel ruolo di Gian Burrasca su tutti), ma anche grazie ad un cast artistico di prim’ordine, tra cui i costumi di Piero Tosi, fresco di candidatura agli Oscar per il suo lavoro ne Il Gattopardo di Luchino Visconti, e in particolare le musiche di Nino Rota, tra cui la celeberrima “Viva la pappa col pomodoro”. Dopo una breve incursione nei musicarelli con Rita la zanzara nel 1966 e Non stuzzicate la zanzara dell’anno successivo entrambi con Rita Pavone, a partire dal 1972 dirige tre film destinati a diventare manifesto del suo cinema: “Mimì metallurgico ferito nell’onore”,  “Film d’amore e d’anarchia” – Ovvero “Stamattina alle 10 in via dei Fiori nella nota casa di tolleranza…” del 1973 e “Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto del 1974”.

La candidatura all’Oscar e il declino
Nel 1975 esce nelle sale Pasqualino Settebellezze, considerato il capolavoro della regista, con il quale si pose all’attenzione della critica mondiale, ottenendo quattro candidature ai Premi Oscar, tra cui per la regia. 
Con gli anni Ottanta inizia il declino e le sue opere non incontrano più i favori della critica italiana (tutt’altro). Mentre per quella internazionale rimane un modello assoluto.
Lina Wertmüller una ribelle geniale e incontrollabile (a teatro aveva tagliato a pezzi il vestito di Monica Vitti, minacciandola di spaccarle la faccia se non si fosse messa la tuta come gli altri, che aveva scioccato Sophia Loren con un trucco e un taglio di capelli inaspettato in “Fatto di sangue tra due uomini per causa di una vedova”, e che aveva mandato all’ospedale Luciano De Crescenzo durante le riprese di “Sabato, domenica e lunedì” azzannandogli il dito perché gesticolava troppo), ma del cinema ha fatto la storia.

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