“Dal campo è stato caricato a peso morto e buttato su un furgoncino, lui, la moglie e il braccio. Poi sono stati scaricati – non accompagnati a casa – davanti alla vietta della casa dove c’è ancora il sangue lì davanti” ha raccontato Alessandra Valentini, segretaria Flai Cgil Roma e Lazio.
La storia fa rabbrividire solamente a sentirla raccontare. E anche se si è letto molto sui giornali, sulle testate online e tra i vari commenti delle tante persone indignate sulla tragedia di Cisterna di Latina, fa impressione sentire raccontare il trattamento riservato a Satnam, il bracciante indiano rimasto gravemente ferito lunedì scorso e morto l’altro giorno dopo una drammatica agonia in ospedale.
Anche perché la vittima di cui si parla è morta non sul luogo di lavoro – come capita per tanti infortuni ogni giorno – ma perché, secondo quanto rivelato, non è stato chiamato il 118 e non lo hanno neanche accompagnato in ospedale.
Il Caporalato, quel lavoro che uccide persone come Satnam
Ora sarà la magistratura ad arrivare a capo di questa vicenda, ma rimane pur sempre una delle tante vittime che esce di casa e non vi rientra. Il caso di Cisterna di Latina ha acceso nuovamente un faro su un fenomeno che è più vasto di quanto ci si immagini e di cui spesso si ignora consapevolmente l’esistenza: il caporalato, ossia quella forma di sfruttamento lavorativo che va a violare i diritti del lavoratore e n mette in pericolo l’incolumità
“Questa modalità di trattare le persone – ha detto Valentini -, di giocare con la vita delle persone fa parte di questo perverso mercato fatto di sfruttamento e non di lavoro dignitoso.”