ROMA – Gli Stati Uniti dell’era Trump voltano le spalle al sistema degli aiuti allo sviluppo con i rischi di chiusura per Usaid e il congelamento dei fondi alla cooperazione. Sebbene questo stia generando un terremoto nel mondo delle agenzie Onu e delle ong, “può essere un’occasione per ripensare il sistema delle donazioni: l’indipendenza dagli aiuti governativi è fondamentale”. Il suggerimento arriva da Giulia Cicoli, direttrice comunicazione e fundraising, nonché cofondatrice nel 2018 con Nicolò Govoni – candidato al Nobel per la pace nel 2020 – di Still I Rise.
AIUTI UMANITARI INDIPENDENTI E NON PIÙ “ATTO POLITICO”
Questa organizzazione fa della parola “indipendenza” il cuore della sua missione, che consiste nel fornire istruzione di eccellenza a bambini e adolescenti in contesti di guerre e crisi. Nella pratica, ciò si traduce in scuole di emergenza o scuole internazionali in Siria, Yemen, Repubblica democratica del Congo, Kenya e Colombia.Ciò vuol dire che l’intera attività di Still I Rise è finanziata tramite donatori privati. “Il taglio di Trump ai fondi per la cooperazione- spiega Cicoli in un’intervista con l’agenzia Dire – è stata l’ennesima prova dell’importanza dell’indipendenza dai governi o dagli organismi come l’Onu”.Gli Stati Uniti sono il primo donatore mondiale anche per le agenzie Onu, che usano quei fondi anche per finanziare organizzazioni partner nei Paesi. Aver congelato i fondi ha costretto tante realtà a sospendere i programmi già in atto, licenziando o mettendo in ferie forzate il proprio staff, con un impatto devastante soprattutto nei contesti più fragili. “La mossa di Trump”, prosegue la direttrice, “dimostra quanto l’aiuto umanitario sia un atto politico: la decisione di cosa finanziare, dove e perché è una scelta politica estera che i governi assumono nei Paesi destinatari di quei fondi. E quindi nel tempo può cambiare”.
“L’IMPORTANZA DI DIVERSIFICARE I DONATORI”
Basti pensare all’incertezza che si sta creando intorno al tema delle sovvenzioni o dei prestiti ai progetti che promuovono l’inclusione di genere o la pianificazione familiare, dal momento che l’attuale amministrazione ha dichiarato “guerra” alla “propaganda gender”. “Esistono- come ha detto il presidente nel suo discorso di insediamento -solo due generi, maschili e femminili”, oppure la contrarietà alla pratica dell’aborto. Eppure, in tanti contesti del globo, manifestare un orientamento sessuale non binario può comportare la messa ai margini della società o persino la vita, così come l’accesso all’aborto non sicuro. Ma la nuova politica di Washington non sarebbe una novità. “Penso alla Germania- dice Cicoli- che non eroga fondi a quelle organizzazioni che aderiscono al movimento di boicottaggio e disinvestimento dei prodotti israeliani, per denunciare la violazione dei diritti dei palestinesi”.Tuttavia, osserva la direttrice, anche i donatori privati possono mettere “paletti” agli aiuti economici: “Anche i grandi donor possono esprimere contrarietà a una certa tipologia di interventi, oppure condizionare gli aiuti a una data regione piuttosto che a un’altra”.Il segreto quindi è “diversificare i donatori il più possibile, per non dipendere troppo da un soggetto esclusivo. Noi abbiamo puntato su una pluralità di donatori privati, anche semplici cittadini, con cui condividiamo valori e obiettivi: è fondamentale creare consapevolezza negli individui, comunicando in cosa consistono i nostri interventi e il modo in cui stiamo usando il loro denaro, con trasparenza”.
LA GENEROSITÀ DEGLI ITALIANI
D’altronde, gli italiani da questo punto di vista sono generosi: i report degli ultimi due anni dimostrano un aumento delle donazioni private, che insieme ad aziende e fondazioni rappresentano il 40% delle donazioni complessive, come riferisce il portale Open Cooperazione. Tuttavia, le organizzazioni della società civile italiana – che nel 2022 hanno assistito 238 milioni di persone in 119 Stati – dipendono per il 60% dai finanziatori istituzionali: il 35% dei fondi proviene dall’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics) e dal ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, un altro 35% dall’Unione Europea, il 18% dagli enti territoriali e il 12% da agenzie Onu e altre organizzazioni internazionali.Sganciarsi dai fondi istituzionali dunque non è semplice, “soprattutto quando si fanno interventi di emergenza”, argomenta Cicoli, “laddove rinunciare a certi fondi fa la differenza tra la vita e la morte di chi aspetta pacchi alimentari, medicinali o tende”.
LE “SCUOLE D’EMERGENZA” DI STILL I RISE
Still I Rise infatti si occupa di sviluppo, l’altra faccia della cooperazione, “portando scuole di emergenza e scuole internazionali, a seconda dei contesti, con programmi di insegnamento di eccellenza”. La prima tipologia “dura tre anni, la seconda otto: non ci possiamo permettere rischi, dobbiamo trovare fonti di finanziamento a lungo termine”. Le scuole di emergenza “vengono istituite in quei Paesi dove non ci sono i presupposti politici, sociali ed economici per creare quelle internazionali”, che invece danno accesso, in un percorso di otto anni, a un baccalaureato di valore internazionale. Obiettivo comune, il recupero degli anni scolastici persi per gli studenti più svantaggiati e il reinserimento nel sistema educativo nazionale. Un esempio di scuola d’emergenza è quella di Kolwezi, nel sud della Repubblica democratica del Congo, Paese tornato d’attualità dopo la conquista di ampie zone del Kivu – nel nord-est – da parte di un gruppo ribelle sostenuto dal Ruanda. Al centro del conflitto, la lotta per l’accaparramento dei minerali rari, come il coltan, fondamentale per la produzione di dispositivi elettronici come smartphone e tablet. A Kolwezi, invece, le miniere offrono il cobalto e Still I Rise lavora proprio per riportare in classe i bambini-minatori da questi siti: “A Kolwezi non ci sono neanche ospedali completamente funzionanti” denuncia Cicoli. “Tutti i nostri studenti sono ex bambini minatori. Li andiamo a prendere in miniera e proprio quest’anno abbiamo avuto il primo gruppo di diplomati, che ora proseguono gli studi nelle scuole superiori locali. Noi continuiamo a supportarli, monitorando che non tornino a lavorare”.Un tema enorme, quello dello sfruttamento dei lavoratori, anche bambini da parte di aziende locali che poi rivendono i minerali alle multinazionali dell’high tech. A livello europeo, Still I Rise ha contribuito alla definizione di una direttiva di “due diligence” con garanzie circa la trasparenza della filiera dei minerali. Ciò dimostra il dinamismo delle realtà del Terzo settore, nell’affrontare alla radice le cause di quelle disuguaglianze che generano conflitti, guerre o migrazioni di massa.Tuttavia, ricorda la direttrice, in sede di Consiglio è stata approvata una versione modificata di quella direttiva, in cui sono stati stralciati vari obblighi in capo alle grandi aziende. “La direttiva introduce qualche garanzia in più, ma non risolve il problema alla radice” conclude Cicoli. “È stata un’occasione persa per l’Europa di fare la differenza”.
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