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Livolsi: “Trump e i dazi, un’arma a doppio taglio che penalizza tutti”

ROMA – “Il cambio di decisione in materia di dazi sembra una costante di Donald Trump. Inizialmente, con un annuncio il 1° febbraio, nel mirino erano finiti Messico e Canada, ma successivamente il presidente ha sospeso il provvedimento, chiedendo al Messico di rafforzare i controlli alle frontiere e al Canada di contrastare l’export di fentanyl, la droga che sta devastando la gioventù americana. Poi è stata la volta dei dazi sui prodotti provenienti dalla Cina, che ha reagito imponendo a sua volta dazi sulle importazioni statunitensi. Da ultimo, Trump ha comunicato l’introduzione di dazi del 25% sulle importazioni di acciaio e alluminio negli Stati Uniti. Inoltre, sarebbero imminenti misure analoghe su altri prodotti. Il Wall Street Journal ha definito questa strategia ‘la più stupida guerra commerciale della storia’”. Le mosse economiche di Donald Trump e i riflessi in Europa e nel mondo nell’analisi di Ubaldo Livolsi, professore di Corporate Finance e fondatore della Livolsi & Partners S.p.A., nel nuovo appuntamento della sua rubrica con l’agenzia Dire, curata da Angelica Bianco.
“Il giorno successivo alla dichiarazione delle tariffe- spiega- su Messico e Canada, i mercati finanziari hanno reagito con tutti i principali listini (S&P 500, Dow Jones Industrial Average e Nasdaq) che hanno perso terreno. Quando Trump, appena due giorni dopo, ha poi rinviato di un mese l’applicazione dei dazi su Messico e Canada, i mercati hanno recuperato, chiudendo il gap. Un aumento dei dazi comporta un incremento dei prezzi. Secondo uno studio del Peterson Institute for International Economics (Piie), nel 2025 il Pil reale degli Stati Uniti potrebbe ridursi dello 0,5% a causa delle tariffe. I dazi aumentano i costi per le imprese che dipendono dalle importazioni, con un impatto sui prezzi al consumo e sull’occupazione”.
“Un sondaggio pubblicato da Bloomberg- continua Livolsi- rivela che un terzo degli americani sta accumulando scorte in casa, temendo un’inflazione dovuta ai dazi o perché si sente incerto riguardo al futuro. Anche la politica della Federal Reserve potrebbe subire delle ripercussioni. Con un Pil in crescita del 3% annuo e un tasso di disoccupazione al 4,1%, la Fed aveva adottato un atteggiamento prudente in materia di politica monetaria. Tuttavia, l’imposizione dei dazi potrebbe alterare questo equilibrio: da un lato, l’aumento dei prezzi potrebbe spingere la banca centrale a rialzare i tassi per contenere l’inflazione; dall’altro, il rallentamento del commercio internazionale potrebbe frenare la crescita economica, aumentando il rischio di recessione”.
“La storia insegna che le guerre commerciali raramente portano benefici nel lungo termine. Il Nixon Shock del 1971, che sancì la fine del sistema di Bretton Woods e la svalutazione del dollaro, è un esempio di come decisioni protezionistiche possano avere conseguenze impreviste. All’epoca, l’Europa accelerò la sua integrazione economica per difendersi, gettando le basi per la creazione dell’euro. Cionondimeno, se Trump dovesse proseguire sulla strada dei dazi, potrebbe spingere le economie emergenti verso la de-dollarizzazione, riducendo il peso economico degli Stati Uniti nel mondo. Un segnale importante arriva dall’Unione europea. Come emerso nel vertice del 3 febbraio, Bruxelles è consapevole che una guerra commerciale con Washington danneggerebbe entrambe le parti. Come hanno sottolineato sia la premier Giorgia Meloni sia il ministro degli Esteri Antonio Tajani, una risposta ai dazi americani dovrà essere ponderata, ma prima di tutto- conclude Livolsi- si deve tentare di evitarla attraverso il dialogo tra la Commissione europea e la Casa Bianca. Non resta che concordare con la posizione della Cina: ‘Da queste guerre commerciali non emergono vincitori, ma solo sconfitti'”.Le notizie del sito Dire sono utilizzabili e riproducibili, a condizione di citare espressamente la fonte Agenzia DIRE e l’indirizzo https://www.dire.it

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