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Ricerca scientifica e donne, come colmare il gap

Compie 3 anni OnFoods, un progetto finanziato dal PNRR, che promuove la ricerca scientifica interdisciplinare nell’ambito del settore alimentare e nutrizionale, con un focus sull’innovazione sostenibile. Alla testa dello Spoke 6, che si occupa di contrastare la malnutrizione, la professoressa Hellas Cena, nutrizionista clinica e Prorettore alla Terza Missione dell’Università di Pavia.

Con la professoressa Cena abbiamo parlato della necessità che la ricerca scientifica si concentri anche sulle specificità femminili e che sempre più ragazze si avvicinino alle materie STEM ovvero a tutte le materie scientifiche e tecniche:
Uno dei problemi più gravi che secondo me riscontriamo e di cui finalmente siamo un po’ più sensibili nella ricerca scientifica e specialmente nella ricerca scientifica di tipo medico è quello
che noi chiamiamo il gender bias, cioè il fatto che per decenni, o io direi fino ad ora, la medicina ha curato praticamente solo la metà della popolazione, quella di sesso maschile. E questo ovviamente è stato fatto anche attraverso l’analisi, lo studio, l’individuazione di farmaci che servono per la maggior parte delle patologie che colpiscono sia uomini che donne, ma che addirittura anche sui modelli animali vengono studiati solo sul sesso maschile. E quindi fondamentalmente noi donne ci ritroviamo a combattere patologie che spesso hanno la stessa definizione e denominazione e caratteristiche di quelle che colpiscono l’altro sesso, ma curandoci con farmaci che magari hanno un dosaggio e effetti collaterali che risentono del fatto che noi siamo femmine e non maschi e di cui nessuno fino ad ora si è preso un po’ la cura di studiare meglio e di personalizzare meglio.
La nutrizione in questo secondo me ha fatto dei passi, ha dovuto fare dei passi avanti fin da sempre, perché fin da sempre si riconosce la differenza fra il fabbisogno di nutrienti nei maschi
e nelle femmine fin all’età evolutiva. Faccio un esempio semplice, una ragazzina quando dall’età puberale passa all’adolescenza e inizia ad essere in età fertile e quindi ad avere un ciclo mestruale inizia ad avere un fabbisogno di ferro significativamente più elevato del coetaneo maschietto. E queste differenze che non si vedono ovviamente solo sul ferro ma poi nell’arco della vita anche su altri nutrienti hanno permesso alla nutrizione di essere un po’ più gender specific rispetto alla medicina generale. In più– continua Cena- l’altro bias è il fatto che delle patologie di genere
come possono essere le endometriosi, ma faccio un altro esempio, la policistosi ovarica, se ne parla molto meno di quello che si dovrebbe considerando la prevalenza che è estremamente elevata. Consideri per esempio che la policistosi ovarica che se non curata è causa di infertilità, per cui si chiama anche ladra di fertilità e di maternità, è una condizione, è l’endocrinopatia più frequente nelle donne, colpisce fino al 15% delle donne in età fertile ed è veramente molto impattante e anche in questa patologia la nutrizione può fare la differenza.”

 

Siamo nella settimana dedicata alle discipline STEM, si parla sempre più dell’importanza del fatto che le donne si interessino a queste discipline e che ci siano delle professioniste donne.
Qual è il valore aggiunto? Perché dobbiamo colmare questo gap e cosa dobbiamo aspettarci dal futuro? “Prima di tutto dare accesso e quindi parità di genere, che si ama molto declamare in questi anni, ma fondamentalmente forse più che declamare bisognerebbe agire, esserne veramente convinti e sapere che l’uguaglianza non nasce semplicemente dando la possibilità alle donne di entrare nel buon numero, per esempio all’università a studiare matematica, ma inizia da un raggiungimento e consapevolezza e sensibilizzazione delle bambine, dei bambini e di tutte le famiglie, sia i padri che le madri, fin da quando sono piccoli, perché fin dal primo momento, quindi direi dalla scuola primaria, con attività pratiche che devono stimolare la curiosità e l’interesse, le bambine saranno indotte a pensare che quello può essere anche un lavoro non solo da maschi, ma anche da femmine. Utilizzo appositamente questi termini un po’ integralisti, perché è così che ancora adesso i bambini si rivolgono a loro stessi quando gli viene chiesto che cosa vorrei fare da grande. Secondo me è importante dare visibilità anche attraverso modelli, per esempio far parlare di più, e i media possono fare anche molto, le scienziate per esempio, con le loro conquiste, per creare modelli di ruolo positivi, che possono ovviamente avere un’attrattività e una capacità di attenzionare anche le bambine fin da piccole e poi le adolescenti che saranno in un momento di scelta da lì a pochi anni, e poi sostenere anche politiche educative più inclusive, che incoraggino le ragazze a credere nella capacità di emergere nel campo scientifico, perché non ci vuole un’intelligenza maschile o femminile. Noi abbiamo sicuramente delle differenze genetiche e probabilmente anche differenze comportamentali legate al ruolo che rivestiamo nell’ambito della società, e il modello femminile
e maschile possono essere diversi, ma possono essere proprio perché diversi, arricchire un ecosistema che deve essere contaminato dalla capacità di ognuno di noi, anche nelle discipline
scientifiche, di dare il proprio contributo.”

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