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Effetto Trump, l’ong anti-mine denuncia: “1700 licenziati per lo stop dei fondi Usa”


ROMA – Circa 1700 licenziamenti in 12 Paesi: questi i numeri dei tagli del personale comunicati da Norsk Folkehjelp, organizzazione norvegese che è uno dei riferimenti globali in materia di sminamento. All’origine della decisione, comunicata in settimana dal segretario generale Raymond Johansen, la perdita di circa il 40 per cento dei finanziamenti dell’ong: circostanza dovuta alla sospensione per almeno 90 giorni dei contributi erogati dagli Stati Uniti, storicamente il primo donatore nel settore. “Il costo più alto”, ha denunciato Johansen in riferimento al decreto firmato dal nuovo presidente americano Donald Trump, “sarà quello pagato dai bambini, dagli agricoltori e dalle comunità locali colpite dalle mine in tutto il mondo”. In una nota si riferisce che a essere sospesi sono stati tutti i programmi finanziati dagli Stati Uniti in 12 Paesi, relativi sia allo sminamento che al disarmo. Nel 2024, Norsk Folkehjelp ha beneficiato di finanziamenti per 42 milioni di dollari provenienti da un ufficio specializzato del dipartimento di Stato americano. A partire da questa premessa, e “a causa di una situazione incerta e della sospensione degli aiuti”, si legge nella nota, l’organizzazione è stata costretta a licenziare 1.700 dipendenti: una quota che vale oltre la metà del totale, stimata in 3.200 persone. Secondo Johansen, “per 20 anni i finanziamenti americani sono stati alla base dell’impegno di Norsk Folkehjelp per lo sminamento”.

Nel tempo, sottolinea l’organizzazione, del supporto americano hanno beneficiato circa due milioni e 200mila persone. Le difficoltà di queste settimane sono allora occasione per riflettere allargando lo sguardo. Secondo Johansen, “con il sostegno degli Stati Uniti, Norske Folkehjelp ha bonificato terreni per una superficie equivalente a quella della capitale norvegese Oslo, consentendo la produzione di cibo e la ricostruzione delle infrastrutture”. A essere rimossi sarebbero stati circa 600mila ordigni esplosivi. “Ciò non solo ha promosso la sicurezza alimentare e la crescita economica nelle aree bonificate”, ha sottolineato Johansen, “ma ha anche impedito che bombe e altri ordigni non detonati finissero nelle mani di attori non statali che li avrebbero potuti impiegare come mine artigianali”. Quello dei responsabili di Norske Folkehjelp è anche un appello: “Chiediamo alle autorità americane di decidere il prima possibile in favore di una continuazione dei finanziamenti per l’azione salvavita anti-mine e per il disarmo”. Anche perché, evidenzia l’organizzazione, questo tipo di interventi hanno storicamente avuto negli Stati Uniti “un supporto ampio e bipartisan”.

Ma lo sguardo non è rivolto solo a Washington. “Abbiamo un buon dialogo con le autorità norvegesi”, ha sottolineato Johansen, “e chiediamo ai partner internazionali di assumere un ruolo attivo nel garantire che questo lavoro non si fermi”. Norske Folkehjelp, in inglese Norwegian People’s Aid, è una delle principali realtà nel settore dello sminamento. Fu fondata nel 1939 anche a partire dall’esperienza di supporto umanitario durante la guerra civile spagnola. Nel nuovo secolo ha poi avuto un ruolo chiave nell’approvazione a Oslo nel 2008 della Convenzione internazionale contro le bombe a grappolo. Secondo i suoi dati, dal 1992 ha permesso la bonifica di circa un miliardo e 300 milioni di metri quadrati di terreni e rimosso due milioni e 100mila mine e ordigni in 45 Paesi. Il sostegno del dipartimento di Stato, veicolato attraverso l’Ufficio per lo sminamento, il disarmo e la gestione delle armi, si è rivolto in particolare verso 12 Paesi: Afghanistan, Angola, Cambogia, Iraq, Yemen, Kosovo, Laos, Palau, Perù, Tagikistan, Ucraina e Vietnam. Sono proprio i luoghi del mondo dove i programmi sono ora sospesi. La decisione ha seguito una comunicazione di “stop immediato” giunta dal dipartimento di Stato all’indomani del decreto di Trump.
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