BOLOGNA – In Sudan da alcuni anni si combatte di nuovo per (l’ennesimo) conflitto dimenticato: dall’aprile del 2023, in un paese grande sei volte l’Italia con 50 milioni di abitanti, si scontrano due fazioni. Il risultato sono 12 milioni di sfollati, 150.000 vittime. “Un conflitto dimenticato con milioni di persone in fuga da crimini di guerra e contro l’umanità”, come sintetizzava il titolo dell’incontro che nei giorni scorsi a Bologna ha provato a raccontare “una delle più grandi tragedie del nostro tempo”. Così l’ha definita Luca Jourdan, docente di Storia, cultura e civilità dell’Università di Bologna nell’incontro all’auditorium Gamaliele a cura del Centro studi Donati. Un incontro per raccontare anni di guerre, di un paese che fa i conti con la carestia (anche in zone dove non si combatte), dove gli aiuti umanitari sono complicatissimi; un paese con una storia millenaria, ricco di petrolio, ma con 25 milioni di persone che vivono in condizioni di ‘insicurezza alimentare’ (per 670.000 è “drammatica”), dove l’età media è 18,4 anni e da cui si fugge verso Stati vicini (come il Tchad su cui hanno fatto rotta in 700.000; un milione verso il Sud Sudan) dove però i problemi di instabilità non sono meno grandi. Ma non si scappa dal Sudan (lasciato da 3,5 milioni di suoi abitanti) solo per restare in Africa: si cerca rifugio anche più lontano.
L’APPELLO AL GOVERNO ITALIANO: DIRITTI AL PRIMO POSTO PER CHI MIGRA DAL SUDAN
E, proprio per la particolare tragedia in corso in Sudan, l’incontro di Bologna è servito a raccontare la situazione ma anche l’appello-iniziativa dei Padri Comboniani e della rivista “Nigrizia”: è diretto al Governo italiano e si articola in cinque punti. Ad esempio perché “nella gestione dei flussi migratori prevalga un riconoscimento dei diritti umani” per chi ha lasciato il Sudan. I diritti “al primo posto” nella gestione dei flussi migratori da questo paese. Lo scenario in atto nel Sudan (“un conflitto molto complesso”, ha detto Brando Ricci, giornalista di ‘Nigrizia’: si contrappongono l’esercito e una milizia paramilitare, le Rsf, un tempo alleate; ma pesano anche le influenze di tanti altri Stati) fa pensare che si possa approdare nel tempo a una situazione ‘divisa’ come quella della Libia.
LE ALTRE RICHESTE: STOP ALL’INGRESSO DI ARMI, ANCHE AD USO CIVILE, E SPINGERE LA PACE
In una situazione già complessa, l’appello al Governo di ‘Nigrizia’ e Comboniani chiede anche che armi italiane non arrivino in Sudan: una preoccupazione di recente riemersa perché l’anno scorso è caduto il divieto a commerciare armi con due paesi che sono attori molto presenti in Sudan: Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti; si teme che per queste ‘vie’ armi italiane finiscano nelle mani dei combattenti in Sudan. Come si dovrebbe vigilare sull’ingresso in Sudan di armi per uso civile che, una volta nel paese, vengono modificate per essere impiegate a scopo militare. All’Italia si chiede anche di spingere per la pace e il cessate il fuoco.
IL VIAGGIO DEGLI STUDENTI PER “SPROVINCIALIZZARE L’UNIVERSITÀ”
Il Centro ‘Donati’ “da sempre con don Contiero ha portato le voci del Sud del mondo dei conflitti al centro della pastorale universitaria. Ecco perché abbiamo accolto la campagna dei comboniani sul Sudan per accendere riflettore su un paese importantissimo come porta sull’Africa subsahariana e anche per una presenza non indifferente di studenti del Sudan in Europa ed Italia”, dice don Francesco Ondedei, della comunità universitaria di San Sigismondo di Bologna. “Nella stessa ottica di approccio integrale ai grandi problemi del presente, proponiamo anche il viaggio per studenti universitari in Tanzania: percorso di conoscenza e incontro, all’insegna del motto sprovincializzare l’Università”. Al rientro a fine agosto “continueremo a parlare di vite, storie e vicende di popoli a cui spesso non guardiamo perché al di là dei nostri confini e interessi economici”, aggiunge don Ondedei.
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