ROMA – C’è una porta chiusa, dietro la quale il mondo si ferma. Nessun rumore di passi nei corridoi, nessuna voce che chiama per cena. Solo il bagliore freddo di uno schermo, il ticchettio delle dita sulla tastiera, il respiro di un ragazzo che ha deciso di scomparire. O forse non ha scelto affatto.Gli Hikikomori, termine giapponese che significa ‘stare in disparte’, sono giovani che si isolano dal mondo, chiudendosi nelle loro stanze per mesi, a volte per anni. Non si tratta di semplice timidezza o di una fase passeggera: è un rifiuto radicale della società, un abisso in cui si sprofonda, spesso senza che nessuno se ne accorga davvero.
Di questo e altro si è discusso oggi alla Camera nel corso di una conferenza stampa dal titolo ‘Hikikomori, i giovani che non escono di casa’, organizzata dal capogruppo del Movimento 5 Stelle in Commissione Cultura di Montecitorio, Antonio Caso, e dall’associazione Hikikomori Italia.Gli Hikikomori sono giovani che non vanno a scuola, non lavorano, non incontrano amici. Esistono, ma solo tra le mura della propria camera, dove internet diventa l’unico ponte con la realtà esterna.In Italia il fenomeno è in crescita: si stima che siano oltre 100mila i ragazzi che vivono questa condizione, invisibili agli occhi di chi non vuole guardare. Le cause? Un mix di pressioni sociali, ansia da prestazione, bullismo, problemi familiari. Senza dimenticare la paura di non essere abbastanza, il terrore di fallire prima ancora di averci provato.
IL DRAMMA E IMPOTENZA DEI GENITORI
I genitori, spesso, sono impotenti, bloccati tra la speranza che ‘passi da solo’ e la paura di peggiorare la situazione con un gesto sbagliato. Ma il silenzio è il terreno fertile di questo isolamento e spezzarlo è il primo passo per riaprire quella porta.’Le famiglie hanno una pressione altissima da parte della società- ha spiegato all’agenzia Dire la presidente di Hikikomori Italia Genitori, Elena Carolei- perché hanno il figlio ritirato e perché la società si aspetta che i genitori abbiano le competenze per intervenire, per far partecipare il figlio alla vita scolastica, alla vita lavorativa, mentre in realtà non è possibile tirare fuori queste competenze da un momento all’altro, dato che abbiamo a che fare con una grossa sofferenza. È importante che la parte politica si faccia parte attiva, che capisca che la priorità è intervenire sul benessere dei ragazzi. La parte relativa alla partecipazione alla vita sociale, invece, deve essere secondaria al loro benessere’.
‘Le scuole- ha precisato- devono capire che i genitori di ragazzi Hikikomori non sono negligenti, che bocciare per le assenze è assolutamente poco producente e anche nel lavoro bisognerebbe ipotizzare percorsi ad hoc, con inserimenti facilitati, proprio perché si tratta di giovani che hanno difficoltà a vivere la quotidianità come gli altri’.Ma quali sono le principali problematiche che affrontano le famiglie con Hikikomori? ‘La prima cosa è capire di cosa si tratta- ha risposto la presidente Carolei- capire perché il figlio sta ritirato: perché è pigro? Perché ha voglia di giocare? O perché sta male? Già questa è una difficoltà enorme. Un’altra grande difficoltà è comprendere come approcciarsi per aiutarlo a stare meglio. È inoltre difficile affrontare tutti i pregiudizi del mondo esterno, pregiudizi che vengono da diverse direzioni: dalla società intesa come scuola, come mondo lavorativo, ma anche come parenti, vicini di casa e colleghi. È molto, molto difficile spiegare qual è la responsabilità in queste situazioni’.
GLI HIKIKOMORI IN NUMERI
Tanti, troppi, gli Hikikomori, nel mondo e in Italia. ‘Nel nostro Paese possiamo avere delle stime, non numeri precisi, perché essendo ritirati sfuggono alla statistica, all’intervista. Noi, comunque, calcoliamo che siano ben più di 100mila. In Giappone parliamo di 1 milione e mezzo di Hikikomori, potrebbe anche essere che in Italia ci stiamo avviando in quella direzione’.’Sono ragazzi cha hanno una forte sensibilità- ha poi tenuto a dire la presidente di Hikikomori Italia Genitori- che temono la competizione e il giudizio. Sono prevalentemente maschi, il rapporto, anche se ipotetico, è 70-30, e sono ragazzi che hanno bisogno di attenzione. Tendenzialmente non riescono a comunicare con un mondo competitivo, freddo, che non dà valore allo spirito, alla personalità, un mondo ostile, competitivo e nonaccogliente’.
COSA FARE E COME AIUTARE
Ma come si aiuta chi non vuole essere aiutato? ‘Il nostro compito è quello di dare indicazioni alle famiglie. Sicuramente la reazione immediata che ha un genitore è quella di spronare il proprio figlio e invece lo sprone genera ansia ulteriore, genera attenzione sul problema, amplificando la tendenza all’isolamento. L’aiuto arriva dalla comprensione, cercando di capire quale sia la sofferenza del ragazzo, vivendola al suo fianco e ricreando, così, la fiducia almeno all’interno della famiglia. Il ragazzo si aprirà soltanto dopo che si sarà reso conto di potersi fidare di chi ha vicino e quando avrà bisogno di qualcosa lo chiederà. A quel punto sarà lui a domandare di essere aiutato e noi potremo intervenire, ma prima non è possibile’.Si guarisce da questa condizione? ‘Non mi piace il termine ‘guarisce’- ha affermato Elena Carolei- perché la identifica come una patologia. In tutti i casi abbiamo diversi casi di ragazzi che hanno ripreso a uscire, che hanno ripreso a vivere. È comunque difficile che avvenga spontaneamente’.Cosa succede, invece, a chi non ce la fa? E quanto dura un isolamento di questo tipo? ‘Mi space dirlo ma una condizione simile può durare anche tutta la vita. In Giappone, ad esempio, si parla del problema 50-80: ormai abbiamo persone isolate che hanno 50 anni in cui i genitori ne hanno 80. È per questo che siamo qui: non vogliamo arrivare a quel punto, speriamo che la politica possa intervenire, sia con la prevenzione, sia con forme di aiuto precoci’.’In Italia- è intervenuto lo psicologo e presidente di Hikikomori Italia, Marco Crepaldi- non abbiamo ancora un dato quantitativo nazionale su quanti siano i casi di ritiro sociale volontario, ma gli ultimi studi del Cnr e dell’Istituto superiore di sanità ci dicono che, almeno nella fascia adolescenziale, ovvero quella che va dalle scuole superiori alle scuole medie, ci siano tra i 50mila e i 60mila casi. Dati ufficiali che, però, sottostimano il fenomeno, perché riguardano solamente i frequentanti’.
LE TRE FASI DEL RITIRO SOCIALE VOLONTARIO
‘Noi- ha proseguito- abbiamo mappato solamente i cosiddetti ‘pre Hikikomori’, quelli che definiamo in ‘fase 1’, cioè quei ragazzi che sono isolati da tutte le attività extrascolastiche come lo sport e le uscite con gli amici, ma che vanno ancora a scuola. Questi giovani sono ovviamente a rischio di isolamento sociale cronico. I ragazzi in ‘fase 2’, invece, sono quelli che hanno già abbandonato la scuola, che hanno già lasciato il lavoro, che sono già andati in burnout e che sono completamente isolati, spesso anche dai familiari. La ‘fase 3′ è proprio quella dell’isolamento all’interno della casa’.’Parliamo, dunque, di persone che spariscono dalla società, che diventano quasi dei fantasmi- ha evidenziato Crepaldi- e le stesse famiglie hanno paura a denunciare, perché temono che la società li giudichi. Ma se non lo fanno i genitori, di questi ragazzi non parla nessuno. Non dobbiamo poi dimenticare che questi giovani, purtroppo, essendo in isolamento volontario non ammettono di avere un problema. E la maggior parte di loro non ha alcun tipo di supporto psicologico, sono completamente abbandonati a sè stessi’.
ANTONIO CASO (M5S): “TANTE MOZIONI APPROVATE ALL’UNANIMITÁ, MA NESSUN IMPEGNO CONCRETO”
‘L’iniziativa odierna- ha dichiarato il capogruppo del Movimento 5 Stelle in Commissione Cultura della Camera, Antonio Caso- nasce da un confronto avuto negli ultimi mesi con l’associazione Hikikomori Italia e con i genitori dei ragazzi e delle ragazze che soffrono questo fenomeno. L’idea è quella di attenzionare e dare visibilità a un fenomeno che, purtroppo, passa sotto traccia. Circa un anno fa la Camera dei deputati ha votato all’unanimità numerose mozioni che chiedevano al governo diversi impegni: purtroppo, a oggi, di impegni concreti non ce ne sono. L’obiettivo di questa conferenza, oltre a quello di accendere un faro mediatico sul tema, è dunque quello di chiedere alle istituzioni di fare realmente qualcosa, di attuare quello che il Parlamento aveva chiesto’.
‘Tra le tante cose- ha poi informato- stiamo spingendo affinché si realizzi un protocollo tra l’associazione, le istituzioni e le realtà regionali per intervenire nell’ambito scolastico, per fare in modo che si identifichino i primi segnali di chi sta andando verso questo problema e si agisca in tempo’.Di Hikikomori si è occupata anche Rajae Bezzaz, inviata di ‘Striscia La Notizia’ e conduttrice radiofonica. ‘Si tratta di giovani e non giovani- le sue parole- perché in realtà ci sono anche persone adulte che decidono di diventarlo, di chiudersi nel proprio mondo e di non competere più. La nostra società, infatti, chiede molto, è una continua pressione, ci chiede di produrre, di essere perfetti, di essere sempre eccellenti. Non tutti ce la fanno e può accadere che dopo vari cedimenti una persona decida di non giocare più a questo gioco’.’In Giappone- ha concluso- questa condizione non è vista come una cosa brutta, perché ci si chiude alla ricerca di sé stessi con la volontà di comprendersi. Il rischio è però quello di non uscire mai più da questa chiusura. È dunque necessaria un’attenzione da parte di tutti. Noi media abbiamo il compito di informare: se i numeri sono allarmanti dobbiamo informare, non per allarmare ma perchè vi sia consapevolezza’.Uscire dal buio dell’isolamento non è certo facile, ma oggi non è impossibile. Servono ascolto, comprensione, percorsi mirati. Ogni Hikikomori non è un numero nelle statistiche, ma una storia che attende ancora il suo lieto fine. Per aprire, finalmente, quella porta ancora chiusa.
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