ROMA – “Voi che indossate le stellette, sentite il peso di tutte le donne che prima di voi non hanno potuto?”. È la domanda di uno studente della scuola superiore di via Saponara, 150 al termine di un convegno a Roma, alla Cecchignola, in cui, per onorare la giornata dell’8 marzo, quattro donne con le stellette si sono raccontate. Il colonnello Cinzia Simoni, il Capitano di Corvetta Lea Rita Riccardi, il colonnello dell’Aeronautica militare Gina Scarpato e il tenente colonnello dell’Arma dei Carabinieri Anna Patrono hanno ripercorso davanti a un’aula magna piena di giovani il loro sogno, la formazione, l’Accademia e la vita di oggi. “Per una vita mi sono sentita dire che facevo un lavoro da uomo” ha ricordato Anna Patrono, che ha scelto di parlare scendendo dal tavolo del convegno, mostrando con orgoglio qualche foto dell’Accademia di Modena e quel primo taglio cortissimo che ancora oggi sfoggia per scelta però e per praticità. Ha parlato del suo primo comandante che le concesse di tenere la bimba nell’ufficio quando era appena nata. Il colonnello Gina Scarpato ha raccontato di aver portato suo figlio piccolo alla scuola di scienze militari di Firenze e di quel triciclo parcheggiato qui e li che nessuno si aspettava di vedere in una scuola militare. E il colonnello Cinzia Simoni non ce la fa a trattenere la commozione quando descrive il ritorno all’accademia di Modena e l'”orgoglio che sente” di indossare l’uniforme. E per sua figlia cosa sogna? “La lascerò libera di scegliere”, risponde. Rivoluzione: è questo il filo rosso dei cambiamenti che le prime arruolate, 25 anni fa, con la legge 380 del 1999, hanno portato nelle Forze Armate italiane.
Alla fine del 2023, le Forze armate e l’Arma dei carabinieri hanno registrato la presenza di oltre 22.000 donne – si legge in una relazione degli Atti parlamentari-, con un incremento, rispetto all’anno precedente, di circa 2.000 unità. Questa la ripartizione: 2.563 Ufficiali; 3.818 sottufficiali; 14.745 graduati e militari di truppa; 1.439 allievi di Accademie e Scuole militari. I reclutamenti non prevedono percorsi differenziati di selezione. L’unico elemento di distinzione è dato dalla oggettiva differenza fisiologica. Perciò- si legge ancora nel documento- in relazione alle prestazioni richieste per agilità, forza e resistenza, in alcuni concorsi, sono stati fissati parametri diversi tra uomini e donne, come avviene per la valutazione delle prestazioni sportive degli atleti. Come funziona l’arruolamento e come sia strutturata la Difesa lo ha spiegato ai ragazzi in sala il Tenente Colonnello Rosa Vinciguerra, capo sezione Politiche di genere dello Stato maggiore della Difesa, una vita la sua dedicata alle politiche di inclusione e parità che la vedono impegnata anche al di fuori del mondo militare, ad esempio come membro dell’Osservatorio per l’applicazione della convenzione di Istanbul. I corsi di gender advisor che tiene sono appunto funzionali a sapere leggere le differenze nel rispetto dell’operatività militare declinandole in termini di diritti, specificità e welfare. Ha parlato anche dei conflitti, del tema difficile dello stupro di guerra: “sapete cos’è ragazzi?” e ha presentato la risoluzione ONU Donne Pace e sicurezza.
Il convegno, promosso dal Generale Salvatore Farì, presidente dell’Associazione Nazionale Commissariato Militare, ha visto i contributi tra gli altri di Alida De Angelis, presidente Cug Difesa e Luisa Riccardi, Segretaria Generale della Difesa, Direzione Nazionale Armamenti Vicaria che ha ripercorso la sua carriera e ha sottolineato ai giovani il valore delle “lezioni apprese” e la carta vincente del farsi trovare pronti e formati: “è come avere delle valigie pronte- dice- così se passa il treno lo puoi prendere al volo”. Tra l’attualità e le testimonianze i giovani sono stati guidati dalla storica e docente Annamaria Isastia a risalire alla difficile lotta anche culturale che le donne hanno fatto per poter difendere lo Stato e partecipare alla difesa. Lo facevano già, ma non era riconosciuto ha ricostruito la storica attraversando pagine di storia. “All’estero in tutti i paesi le donne avevano collaborato allo sforzo bellico (le due guerre mondiali) e per molte si sarebbero aperte le porte del mondo militare, prima nei servizi ausiliari e poi integrate nelle forze armate. Negli anni sessanta e settanta tutti i paesi della Nato iniziarono ad arruolare personale femminile mentre in Italia negli anni settanta se ne cominciò a parlare”. La professoressa ha ricordato inoltre “Le circolari ministeriali del 1916 invitavano gli industriali ad assumere donne e nel 1917 si ordinò che la manodopera femminile venisse occupata anche in lavori più pesanti perché indispensabile al nuovo sistema industriale che per le esigenze belliche doveva funzionare a pieno regime. Crebbe così il numero di donne assunte negli stabilimenti militari, ausiliari e non ausiliari, di produzione bellica. Alla fine della guerra più di 200.000 donne erano impiegate nell’industria bellica, mentre almeno 600.000 erano addette alla confezione del vestiario militare”. Fu così una guerra, la prima mondiale in particolare, che “costrinse tutti a rivedere quella realtà” che era tutta “rivolta solo a preservare l’autorità del pater familias”. Arrivava il tempo delle donne e delle madri.
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