(Adnkronos) – Basta guarda i listini di Borsa alle 12 di oggi, per capire la portata di quello che sta succedendo dopo l’annuncio dei dazi di Trump: le piazze finanziarie europee hanno bruciato quasi 890 miliardi di poco meno di 3 ore di contrattazioni e Milano perde il 6,17%. Chi pensa che sia una reazione solo finanziaria e che riguarda solo gli umori degli investitori sbaglia. Le conseguenze, per tutti e quindi anche per l’Italia, sono evidenti per le imprese, per il lavoro, e per le famiglie. E’ l’intero tessuto economico a venire attaccato, prima ancora che dal rialzo dei prezzi che ancora tecnicamente non c’è stato, dal suo peggiore nemico: l’incertezza, che si trasforma rapidamente in paura e in scelte difensive.
Con l’incertezza prodotta da uno scenario di guerra commerciale, che è peraltro solo al suo inizio, non si investe, non si prendono le decisioni che servono a guardare avanti e si entra nella spirale dei tagli. Meno ordini per le aziende, margini che si riducono che vengono scaricati sui prezzi finali, la prospettiva di dover ridurre la forza lavoro o quantomeno, il rinvio delle assunzioni potenziali.
Come si traduce tutto questo nella reazione della politica, degli imprenditori e dei consumatori? Di fronte all’andamento dei mercati finanziari, anche il cauto ottimismo di chi ha responsabilità di governo deve fare i conti con la realtà: “Questo ci fa capire che dobbiamo assolutamente sventare l’escalation commerciale e tanto più la guerra commerciale, perché altrimenti davvero la crescita ne sarebbe davvero compromessa”, ha ammesso il ministro delle Imprese e del made in Italy Adolfo Urso, che domani incontra il mondo delle imprese per fare il punto sulle strategie per fronteggiare l’emergenza. La linea resta quella dettata già a caldo dalla premier Giorgia Meloni, difendere gli interessi europei e italiani, puntando sul negoziato con gli Stati Uniti. “Credo che si debba evitare assolutamente una guerra commerciale, che sarebbe esiziale per gli Stati Uniti e per le nostre imprese”, ha ribadito il ministro degli Esteri Antonio Tajani.
La linea è condivisa anche da Confindustria. “Sui dazi abbiamo la grande necessità di dialogare e negoziare con gli Stati Uniti e il negoziato deve avvenire da parte dell’Unione europea in modo unitario”, ha puntualizzato il presidente Emanuele Orsini. Le imprese, tutte ma soprattutto quelle che esportano, si devono comunque preparare a fare i conti con la realtà: i prezzi dei prodotti italiani saliranno e le vendite diminuiranno. La domanda da porsi, tecnicamente, è quanto del dazio sarà trasferito sul prezzo finale al consumatore americano e quanto invece sarà assorbito da riduzioni di margini. Altro effetto da considerare, restando all’export è che i prodotti importati, più cari perché sottoposti ai dazi, potranno essere sostituiti da altri prodotti più economici. Rispetto a questi due fattori, varia l’analisi se si pensa al breve o al lungo periodo.
Un’analisi di Tommaso Monacelli per lavoce.info fa una sintesi efficace: “I dazi potrebbero rimanere a lungo in alcuni settori specifici. Mentre l’effetto aggregato sarà probabilmente contenuto, esso può celare importanti differenze tra settori. In alcuni, la riduzione dell’export potrebbe essere molto significativa, e avere effetti rilevanti sull’occupazione domestica. È il caso, ad esempio, del settore dei macchinari e dei veicoli. Mettere in atto politiche di sostegno a questi settori per favorire la transizione della produzione verso nuovi mercati sarà una sfida non solo italiana, ma di tutta l’Unione europea”.
Come succede ogni volta che c’è uno shock economico significativo, l’altro enorme punto di domanda è quanto dell’effetto dei dazi sarà alla fine scaricato sull’occupazione, sui salari e sui prezzi al consumo, le voci che portano direttamente alle famiglie italiane. Le associazioni dei consumatori stanno producendo stime che sono inevitabilmente parziali, perché l’effetto di una nuova recessione andrebbe ben oltre quello dell’impatto sui consumi. (Di Fabio Insenga)