ROMA – Il generale Mohamed Hamdan Dagalo ‘Hemedti’, leader delle Forze di supporto rapido (Rsf), ha proclamato la nascita di un “Governo di pace e unità” nelle aree del Sudan cadute sotto il controllo dei ribelli. L’esecutivo, formato da quindici membri, si impone come antagonista a quello di Khartoum, sostenuto dall’esercito nazionale (Fsa). Forze di supporto rapido ed esercito dal 15 aprile 2023 hanno dato inizio a una guerra civile, che ancora continua. Infatti, l’annuncio è stato dato ieri dal leader ribelle sul proprio canale Telegram: “In questo anniversario- ha scritto- dichiariamo con orgoglio la costituzione del Governo di Pace e Unità, un’ampia coalizione che riflette il vero volto del Sudan”. Tale coalizione sarebbe composta da “forze civili e politiche” che, a febbraio, hanno siglato un accordo per gettare le basi di questo progetto politico, definendosi la Founding Alliance for Sudan. Il vertice si è tenuto a Nairobi, in Kenya, con il sostegno del presidente William Ruto, che per questa collaborazione non solo si è attirato critiche da alcuni membri del governo ed esponenti della società civile, ma ha innescato anche una crisi diplomatica.
Il generale Abdelfattah Al-Burhan, che guida il Sudan, ha infatti rotto le relazioni diplomatiche, ritirando l’ambasciatore sudanese da Nairobi. Nel corso del vertice nella capitale kenyana, le Rsf hanno inoltre promosso la sigla di una costituzione transitoria con l’obiettivo di definire una “tabella di marcia per un nuovo Sudan”. La nuova Carta inoltre stabilisce che i 15 membri del governo rappresentino “tutte le regioni, a simboleggiare la nostra unità volontaria”.Come avvertono vari analisti, tra cui Sharath Srinivasan, professore all’Università di Cambridge esperto di Sudan, la creazione di un governo parallelo potrebbe determinare la frammentazione di una delle nazioni più grandi dell’Africa, un processo che di fatto sta già avvenendo per via delle diverse zone ormai finite sotto il controllo dei ribelli, in particolare quella del Darfur. Questo potrebbe inoltre determinare ulteriori sofferenze per le popolazioni, che in varie aree del Paese soffrono la carestia – come certificato dalle Nazioni Unite – e sono soggette a uccisioni, violenze, sfollamenti e mancanza di servizi essenziali. Oltre 13 milioni i profughi. Di tali violenze vengono accusate entrambe le parti. Su atti di genocidio in Darfur stanno indagando sia la Corte penale internazionale che la Corte internazionale di Giustizia. Quest’ultima è stata chiamata a intervenire proprio dal governo del Sudan, che ha denunciato gli Emirati Arabi Uniti di sostenere le Rsf e di presunta “complicità nel genocidio in atto”.
Le notizie del sito Dire sono utilizzabili e riproducibili, a condizione di citare espressamente la fonte Agenzia DIRE e l’indirizzo https://www.dire.it