ROMA – Almeno 23 palestinesi hanno perso la vita negli attacchi notturni che l’esercito israeliano ha sferrato la notte scorsa contro due campi profughi. Il primo ha coinvolto il campo di Al-Mawasi, nei pressi della città meridionale di Khan Younis. Lo ha riferito ai media internazionali Mahmud Bassal, portavoce della Protezione civile di Gaza.
“Almeno 16 persone sono morte, in maggioranza donne e bambini, mentre altre 23 sono rimaste ferite” ha detto il responsabile. Come chiariscono i media internazionali, l’area di Al-Mawasi è stata indicata come “zona sicura” per le famiglie sfollate da parte dell’esercito israeliano. Tra le vittime, i soccorritori hanno trovato anche dieci membri di una stessa famiglia, la famiglia Baraka, a Bani Suhaila. Bassal ha inoltre riferito di un altro raid contro tende di sfollati nei pressi della stessa zona, dove sono rimasti uccisi un padre e suo figlio. Infine, un terzo raid ha raggiunto il campo profughi di Beit Lahiya, nel nord della Striscia, dove a perdere la vita sono state sette persone.
Da stamani, nuovi raid hanno raggiunto Rafah, nel sud, Khan Younis e la città settentrionale di At-Twam, nel nord, passando per Gaza City. L’agenzia palestinese Wafa riporta di un’auto civile colpita da un drone israeliano nel sud, in cui sono morte due persone e altre due sono state ferite.
Le Nazioni Unite hanno aggiornato a 420mila i palestinesi sfollati attraverso la Striscia a causa della rottura della tregua da parte di Israele, lo scorso 18 marzo, mentre quasi il 70% della popolazione è stata raggiunta da ordini di evacuazione da parte dell’esercito. Dal 2 marzo, inoltre, Tel Aviv ha chiuso i valichi di frontiera, impedendo l’ingresso di forniture umanitarie per la popolazione. Tel Aviv giustifica queste azioni con la necessità di eliminare il gruppo Hamas, che controlla la Striscia ed è responsabile dell’aggressione del 7 ottobre 2023 nel sud di Israele, in cui sono morte 1200 persone.
Le notizie del sito Dire sono utilizzabili e riproducibili, a condizione di citare espressamente la fonte Agenzia DIRE e l’indirizzo https://www.dire.it