ROMA – In Turchia un giornalista e scrittore di primo piano, che ha compiuto a gennaio 70 anni, da nove è rinchiuso nel carcere di massima sicurezza di Izmir dove dovrà trascorrerne altri dieci. L’accusa: “Aver sempre voluto raccontare la verità, criticando il governo e animando con ogni articolo il dibattito pubblico. Ma il giornalismo non è un crimine e l’Europa non può sacrificare lui e gli altri prigionieri di coscienza per i suoi interessi con la Turchia”. Parla con l’agenzia Dire Mehmet Unal, figlio di Ali Unal, giornalista turco di primo piano, firma critica del governo Erdogan per lo storico quotidiano ‘Zaman’ (‘Il Tempo’) e autore di diversi saggi.L’uomo è stato arrestato il 10 agosto del 2016, dopo il fallito colpo di Stato contro il governo guidato dal presidente Recep Tayyip Erdogan del precedente 15 luglio. Quella data secondo i difensori dei diritti umani locali e internazionali, rappresenta uno spartiacque: non solo sono seguite ondate di arresti di oppositori politici, difensori dei diritti umani e accademici, ma nel mirino sono finiti anche i cronisti e la stampa, con riforme di legge che hanno esteso il reato di attività o complicità in attività terroristiche che renderebbero più semplice imbavagliare il dissenso.
È in occasione della Giornata internazionale per la libertà di stampa che si celebra domani, 3 maggio, che l’International Human Rights Advisor (Ihra) – una piattaforma che riunisce avvocati, giuristi ed esperti di diritti umani – lancia un nuovo appello per il rilascio di Ali Unal, ritenuto un “prigioniero di coscienza”, “arbitrariamente” arrestato e condannato a 19 anni di reclusione dopo un “processo farsa”. L’Ihra ricorda che secondo L’Indice 2025 sulla Libertà di stampa calcolato da Reporters senza Frontiere, la Turchia si trova al 159esimo posto su 180 Paesi con un punteggio di 29,4 su cento, dove cento rappresenta il valore massimo della libertà e della trasparenza per il settore dei media. Un posizionamento peggiore rispetto al 2024, quando la Turchia figurava al 158esimo posto con 31,6 punti.
Tornando al caso Unal, la polizia ha arrestato il giornalista accusandolo di aver intrattenuto rapporti con il movimento dell’Imam Fetullah Gulem, ritenuto dalle autorità il mandante del tentato golpe dell’estate 2016. Tuttavia, contro il reporter “non ci sono prove o indizi che confermino l’accusa- riprende il figlio, Mehmet Unal, oggi residente in Finlandia, dove insegna finaldese agli immigrati. “Persino nelle motivazioni emesse dopo la condanna a 19 anni e mezzo di carcere, i giudici ammettono che non ci sono legami diretti tra mio padre e il movimento di Gulem, ma piuttosto la convinzione che avesse l’abilità e le potenzialità utili a rendersi esecutore di ordini, o di poterne impartire lui stesso, per spodestare il governo Erdogan”.L’uomo, tenuto da nove anni in regime di massima sicurezza, comincia a cedere “nella mente e nello spirito” avverte il figlio. “Ha pensieri tristi poiché sente che sta perdendo la sua vita e questo gli causa perdita dell’appetito e deperimento” continua Mehmet Unal. “Ha accesso ai libri del carcere, ma non sono adatti a lui, che in casa ha una libreria enorme. Inoltre non può leggere giornali e non ha un computer su cui scrivere, lui che considera la scrittura la sua vita. Usa carta e penna. Condivide una piccola cella con altri due detenuti e gli è proibito intrattenere rapporti con altri. Ha colloqui regolari con i familiari e gli avvocati, che vengono però registrati”. Fortunatamente non ha patologie croniche ma restare in salute, in queste condizioni, diventa una sfida. Non solo perché “non gli viene permessa l’ora d’aria”, ma anche perché “se fa richiesta di assistenza medica, viene trasportato in ospedale in manette. Dato che è una persona nota, la gente lo può riconoscere e ciò gli causa profonda umiliazione”. A questo si aggiunge il rischio di essere “aggredito: la propaganda di governo contro gli oppositori ha creato molti fanatici, che non perdono occasione di farsi belli davanti alle autorità”, riferisce il figlio.
Per Ali Unal si è già pronunciato nel 2023 il Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite contro la detenzione arbitraria, trasmettendo alle autorità un parere secondo cui Unal la detenzione del giornalista di Zaman è arbitraria e viola i diritti umani, e ne chiede quindi l’immediato rilascio. Tuttavia “il govenro di Erdogan ha ignorato il parere. A ciò si aggiunge l’inerzia dell’Unione europea, sebbene abbiamo segnalato il caso anche alla Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu). Ma Bruxelles non ha mai imposto sanzioni contro Ankara per obbligarla a rilasciare mio padre”. Secondo Mehmet Unal, il motivo sono “gli accordi tra Ue e Turchia sulla gestione dei migranti. Bruxelles vuole che la Turchia li trattenga e gli impedisca di raggiungere l’Europa. Ma così- conclude- l’Ue sacrifica la vita di mio padre e di migliaia di persone il cui unico reato è aver espresso un’opinione o chiesto libertà”.Solo ieri, nei cortei del Primo maggio organizzati contro l’attuale esecutivo, tra le cento e le quattrocento persone sono finite in manette; alcuni, come riferisce la stampa internazionale, sono stati fermati per aver raggiunto piazza Taksim, dove i raduni sono vietati dai giorni delle grandi manifestazioni del 2013. Inoltre, per impedire le proteste, le autorità hanno stabilito lo stop ai collegamenti pubblici, vale a dire autobus, tram, metro e traghetti, paralizzando la seconda città del Paese.Altre centinaia di persone sono finite agli arresti di recente, a causa delle proteste seguite alla cattura del sindaco di Istanbul Ekrem Imamoglu, ritenuto il principale sfidante di Erdogan alle presidenziali del 2028.
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