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Storia di Niveen, operata al cuore a 7 mesi e rispedita a Gaza


ROMA – Nel campo profughi di al-Shati, nel nord della Striscia di Gaza, la vita si consuma tra il caldo soffocante e la precarietà quotidiana. Enas Abu Daqqa, 33 anni, stringe a sé la figlia Niveen, nata durante il conflitto con una grave cardiopatia congenita. Ha solo sette mesi e sopravvive in una tenda, circondata da coperte e lamiere, mentre un ventilatore combatte inutilmente l’afa.

A marzo – racconta la BBC – grazie a una tregua temporanea e all’intervento della Giordania, Niveen è stata trasferita ad Amman insieme ad altri 28 bambini palestinesi per ricevere cure mediche urgenti. Un’operazione chirurgica a cuore aperto le ha salvato la vita. Ma poco dopo, con la ripresa dell’offensiva israeliana, il cessate il fuoco è crollato. E con esso, ogni certezza.Il 12 maggio, le autorità giordane hanno notificato a Enas il rimpatrio immediato. “Siamo partiti durante una tregua. Come possono rimandarci ora che la guerra è ricominciata?”, si chiede. Secondo Amman, Niveen aveva completato le cure. Ma per Enas non è così: la bambina, afferma, non ha terminato il percorso terapeutico e continua a peggiorare. “A volte diventa cianotica, fatica a respirare. Non può vivere in una tenda.”

Il governo giordano ha difeso la decisione, spiegando che il ritorno dei pazienti serve a garantire la rotazione delle cure per altri bambini malati, nel rispetto di limiti logistici e politici. Ha inoltre ribadito che la sua politica è evitare lo spostamento permanente dei palestinesi dal territorio. Ma secondo il Ministero della Salute di Gaza, i bambini rientrati avrebbero ancora bisogno di assistenza medica.Una storia simile è quella di Nihaya Bassel e del piccolo Mohammed, affetto da asma e gravi allergie. Anche lui è stato riportato a Gaza dopo un breve ricovero ad Amman. Tornati in una tendopoli, senza cibo né medicine, la madre teme per la sua sopravvivenza: “Non mangia, non può bere il latte speciale. Ogni pasto può scatenargli una crisi.”

I racconti del viaggio di ritorno sono segnati da umiliazioni e confische. Al valico, Enas e Nihaya affermano di essere state perquisite, insultate e private di contanti, telefoni e perfino delle cartelle cliniche dei loro figli. L’esercito israeliano ha confermato il sequestro di denaro “eccedente i limiti consentiti” per presunti rischi legati al terrorismo, senza fornire spiegazioni sulle altre confische.Amman rivendica l’eccellenza delle cure offerte. Ma in un contesto dove ogni progresso medico può essere annullato da un’esplosione, le madri si sentono abbandonate. “L’ho visto migliorare, rinascere”, dice Nihaya. “Ora rischia di morire di nuovo. Non voglio seppellirlo sotto le macerie”.
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