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Dalla “fatal Verona” al “5 maggio”: quando lo scudetto cambia maglia all’ultima giornata


ROMA – Se a Napoli nicchiano, a Milano l’ipotesi scudetto viene trattata come un feticismo matematico. Nessuno s’espone, in attesa che per la ventottesima volta la Serie A decida il suo destino, con una certa vocazione teatrale, all’ultimo atto. La tragedia greca è dietro l’angolo. Nella storia del campionato italiano solo in quattro casi è arrivato il ribaltone al fotofinish: quattro squadre che avevano il tricolore cucito addosso e se lo sono fatto strappare dalla maglia nel dì della preventivata festa. Quattro casi clinici. L’Inter due volte, la Juve una, il Milan una.

1966-1967: LA JUVE OPERAIA

L’Inter, che si presenta all’ultima giornata con un punto di vantaggio sulla Juve. Sembra fatta. Invece, dopo aver perso la finale di Coppa dei Campioni a Lisbona contro il Celtic, i nerazzurri si fanno beffare a Mantova da un ex: Beniamino Di Giacomo, tiro-cross velenoso, paperona di Sarti e sogni di gloria dissolti. Perché la Juve, nel frattempo, batte la Lazio e vince lo scudetto. I biancocelesti retrocedono. E l’Inter saluta la sua età dell’oro. Nasce la “Juve Operaia” di Heriberto Herrera: senza stelle, con la frusta del “movimiento” e una difesa da cantiere navale. Un trionfo costruito col sudore, senza fronzoli. E con un sorpasso chirurgico al fotofinish.

1972-73: LA FATAL VERONA

Milan 44, Juve e Lazio 43. Ultima giornata da girone dantesco. La Lazio cade a Napoli, ma il Milan, che ha appena vinto una faticosissima Coppa delle Coppe, arriva stanco e arrogante a Verona, contro l’Hellas già retrocessa. Finisce 5-3. La “fatal Verona”. Apocalisse rossonera. La Juve, che se la gioca all’Olimpico con la Roma, passa in svantaggio ma ribalta tutto con Altafini e Cuccureddu. È lo scudetto numero 15 per i bianconeri. A posteriori resteranno le chiacchiere da bar sui “premi a vincere” mai provati.

1999-2000: IL DILUVIO UNIVERSALE

L’acquazzone di Perugia e l’apoteosi della Lazio Juve prima a 71, Lazio seconda a 69. L’ultima giornata è un thriller meteo. La Lazio fa il suo dovere: 3-0 alla Reggina. A Perugia, invece, diluvia. Il campo è un acquitrino, Collina sospende tutto per un’ora e più. Quando si riprende, Calori gela la Juve con un missile nel fango. In campo c’è Conte che perde palla con una rispinta corta. “Palla verso di me – racconta il difensore – la stoppo di petto e al volo la calcio nell’angolino. L’avessi lasciata cadere, sarebbe scappata via. Van der Sar era coperto da Montero: non la vide neanche partire. Io la colpii d’esterno, a girare: imparabile. Una pausa così lunga non si era mai vista, oggi sarebbe impossibile immaginarla. Quel diluvio mi sembrò biblico”. È lo scudetto della Lazio, il secondo della storia biancoceleste. Roma esplode, Torino sprofonda. L’ennesima polemica arbitrale, i sospetti, il pantano che sembra metafora di una Serie A sempre più torbida. Ma per la Lazio di Cragnotti, Nedved, Simeone e Verón è il trionfo irripetibile, poco prima del crack finanziario.

2001-2002: IL 5 MAGGIO

Il 5 maggio dell’Inter, ovvero l’arte del suicidio. Il giorno che ogni interista maledice. Inter 69, Juve 68, Roma 67. I nerazzurri di Cúper vanno all’Olimpico contro la Lazio. Tifoserie gemellate, biancocelesti senza troppe motivazioni, in teoria. Vieri la sblocca, ma Poborsky pareggia. Di Biagio riporta avanti l’Inter, ma Gresko decide di lasciare un segno nella storia con un retropassaggio suicida. Ancora Poborsky, poi Simone Inzaghi e Simeone completano il disastro: 4-2 Lazio. La Juve, nel frattempo, regola l’Udinese con un 2-0 chirurgico. Scudetto bianconero. All’Olimpico piange anche l’erba: Ronaldo in panchina singhiozza, Materazzi urla ai laziali: “Ve l’ho fatto vincere uno scudetto!”, ricordando quello dato alla Lazio nel 2000 con il suo Perugia. Ironia tragica.
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