ROMA- “Che fa, concilia?”. Ma Wendy Ortiz per poco non è svenuta. Quando ha ricevuto la notifica della multa dalle autorità statunitensi per l’immigrazione, pensava a un errore. Quando ha visto la cifra della sanzione ha perso il fiato: 1,8 milioni di dollari per essere rimasta illegalmente negli Stati Uniti.
La signora Ortiz ha 32 anni, lavora in un impianto di confezionamento della carne in Pennsylvania per 13 dollari l’ora. Vive negli Usa da dieci anni, dopo essere fuggita da El Salvador per sottrarsi a un ex compagno violento e alle minacce delle gang. Il suo stipendio serve appena a coprire l’affitto e le cure per il figlio di sei anni, affetto da autismo. Il bambino è cittadino americano. “Non è giusto. Dove dovrei trovarli tutti quei soldi?”.Il suo caso non è isolato. Negli ultimi mesi, l’amministrazione Trump ha cominciato a rendere operativa una misura prevista da anni ma mai applicata su larga scala: sanzionare economicamente i migranti che non lasciano gli Stati Uniti dopo un ordine di espulsione. Circa 4.500 persone hanno ricevuto avvisi simili, per un ammontare complessivo di oltre 500 milioni di dollari. Gli importi variano da poche migliaia di dollari fino a cifre mostruose come quella ricevuta da Wendy, sulla base di una legge del 1996 applicata retroattivamente fino a cinque anni.Il meccanismo prevede una multa di 998 dollari al giorno. Chi riceve l’avviso ha 30 giorni per presentare un ricorso motivato, giurato e documentato. In teoria, se non si paga, il governo potrebbe sequestrare beni, ma ancora non è chiaro come avverranno concretamente riscossioni e confische. La responsabilità è divisa tra ICE (Immigration and Customs Enforcement), che emette le sanzioni, e CBP (Customs and Border Protection), che dovrebbe gestire i sequestri.Tra gli avvocati specializzati in casi d’immigrazione regna una certa sorpresa. Robert Scott, legale newyorkese, ha raccontato alla Reuters di un’altra sua cliente, una donna messicana da 25 anni negli USA, multata per 1,8 milioni. “All’inizio pensi sia una truffa”, ha detto. “Non ho mai visto nulla del genere.” La donna aveva un ordine di espulsione datato 2013, ma secondo Scott non ne era mai stata informata.Ortiz, però, aveva ricevuto l’autorizzazione a restare in attesa di esito sulla richiesta d’asilo, ma ha dichiarato di non aver mai ricevuto la convocazione in tribunale nel 2018. Di conseguenza, è stata valutata “in contumacia” e quindi passibile di espulsione. Il suo avvocato ha presentato una richiesta umanitaria per riaprire il caso, basandosi sui rischi per la vita di Wendy in El Salvador e sulle necessità sanitarie del figlio.
Le notizie del sito Dire sono utilizzabili e riproducibili, a condizione di citare espressamente la fonte Agenzia DIRE e l’indirizzo https://www.dire.it