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L’allarme di Bankitalia: i dazi potrebbero costare un punto di PIL


ROMA – “Un diffuso senso di incertezza” scatenato dalla ‘guerra’ dei dazi “potrebbe sottrarre quasi un punto percentuale alla crescita mondiale nell’arco di un biennio” e sta “spingendo l’economia globale su una traiettoria pericolosa”, mettendo a rischio già oggi il 5% del commercio globale. Lo dice il governatore di Bankitalia Fabio Panetta, nelle considerazioni finali sul 2024.

“Il susseguirsi di annunci, smentite e revisioni alimenta incertezza e volatilità sui mercati. Si tratta di condizioni che rischiano di amplificare l’effetto dei dazi e che potrebbero protrarsi nel tempo, considerata la complessità dei negoziati commerciali, che tipicamente richiedono tempi ben più lunghi dei 90 giorni di sospensione annunciati”.

Tra le conseguenze dei dazi, avverte, “il rischio più profondo è un altro: che il commercio, da motore di integrazione e dialogo, si trasformi in una fonte di divisione, alimentando l’instabilità politica e mettendo a repentaglio la pace”. Non solo: “Gli effetti rischiano di travalicare la sfera commerciale, alterando la struttura del sistema monetario internazionale, oggi incentrato sul dollaro, e limitando i movimenti dei capitali. Potrebbero spingersi oltre, frenando la circolazione di persone, idee e conoscenze. L’indebolimento della cooperazione globale, anche in campo scientifico e tecnologico, finirebbe per ridurre gli incentivi all’innovazione e ostacolare il progresso. A lungo andare, verrebbero compromessi i presupposti stessi della prosperità condivisa”.

“Per ampliare stabilmente la forza lavoro è necessario creare opportunità di occupazione attrattive per i numerosi italiani che lasciano il Paese alla ricerca di migliori prospettive. Negli ultimi dieci anni sono emigrati 700mila italiani, un quinto dei quali giovani laureati”.

L’immigrazione regolare, aggiunge Panetta, può fornire un “apporto rilevante, soprattutto nei settori delle costruzioni e del turismo, che registrano una crescente scarsità di manodopera” e il “suo contributo può estendersi alle attività a maggior valore aggiunto, a condizione che si riesca ad attrarre profili qualificati”. Su questo fronte, tuttavia, l’Italia “sconta un ritardo: tra i principali paesi, è quello con la più bassa quota di immigrati laureati”.
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