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Gaza, Emergency: “Da marzo non arrivano più farmaci”


ROMA – Da fine maggio Israele ha autorizzato l’ingresso del cibo nella Striscia di Gaza, ma non di medicinali, acqua potabile, carburante o materiale tecnico, causando un enorme impatto sulla vita dei civili a partire dal deterioramento del sistema sanitario.

A tracciare il quadro con l’agenzia Dire è Alessandro Manno, responsabile Paese di Emergency per i Territori palestinesi occupati:

“L’attuale sistema di distribuzione di viveri a Gaza- inizia Manno- è assolutamente insufficiente sia per quantità – perché è inferiore ai reali bisogni – sia perché è organizzato talmente male che la notizia giornaliera purtroppo è quante vittime ci sono state tra la popolazione beneficiaria”.

Settanta solo ieri, stando ai media internazionali, che portano a cento i civili uccisi in settimana e quattrocento da quando a inizio mese, Israele ha sostituito la rete delle Nazioni Unite e delle ong con un consorzio statunitense – la Gaza humanitarian foundation (Ghf) – che si avvale di due soli punti di distribuzione per una popolazione di oltre 2 milioni di persone.

Giornalisti e operatori medici denunciano incidenti, chiamando in causa anche l’esercito israeliano, accusato di aprire il fuoco contro le persone in fila per ritirare il pacco alimentare. Manno tiene a sottolineare che attraverso la Ghf, “entra soltanto cibo”. Niente medicinali, quindi. Le cliniche di Emergency stanno continuando a funzionare “grazie alle scorte che abbiamo fatto durante il cessate il fuoco”, tra il 19 gennaio e il primo marzo scorsi, “sia tramite donazioni dell’Oms che spedizioni che siamo riusciti a farci arrivare dopo un lungo percorso di autorizzazioni e burocrazia”.

Da allora, quindi, non entrano più antibiotici, aghi, garze, bende o qualsiasi altra cosa serva per curare feriti o malati cronici, in un contesto di violenza quotidiana. Dalla fine del 2023 i responsabili degli ospedali denunciano questa situazione, l’ultimo è stato ieri il dott. Ahmad Al-Farra, direttore del reparto di pediatria al Nasser Hospital di Khan Younis, che ha denunciato l’esaurimento delle scorte di latte in polvere: “I neonati e i prematuri potrebbero morire entro 48 ore”.

Manno conferma: “Stiamo consumando in fretta tutte le scorte e abbiamo già terminato alcuni materiali come gli antibiotici, il che ci ha costretto a passare alla seconda linea di antibiotici sostitutivi”. Già prima del cessate il fuoco del 19 gennaio a Gaza gli aiuti entravano col contagocce; tra le denunce più frequenti, quella delle amputazioni eseguite senza anestesia.

Manno commenta: “Noi non ne abbiamo prova diretta perché non lavoriamo dentro gli ospedali ma la riteniamo un’accusa plausibile proprio a causa della carenza di farmaci, come quelli che consentono l’anestesia completa e sicura”.

A complicare il lavoro, continua il referente di Emergency, “la carenza di qualsiasi tipo di materiale tecnico. Ciò rende difficilissimo riparare le automobili” oppure “gli strumenti diagnostici”, che in mesi di ripetuti attacchi agli ospedali “sono stati danneggiati”. Le riparazioni, avverte il responsabile, “sono possibili fintanto che il danno è contenuto, per il quale si possono trovare i pezzi di ricambio, perché questi, appunto, non possono entrare”.

La salute degli abitanti di Gaza è minacciata anche dalla mancanza di acqua: gli attacchi alla rete idrica e ai desalinizzatori, e la mancanza di carburante per alimentare quelli rimasti, come informa Manno fa sì che “l’acqua sia distribuita tramite autobotti ma è impossibile eseguire analisi sulla qualità, aumentando il rischio di gastroenteriti”.

Infine, “da una settimana c’è un enorme problema di blackout di internet- denuncia il responsabile- dopo che attacchi ed esplosioni hanno danneggiato il sistema della banda larga”. Da qualche giorno, “il danno è stato parzialmente risolto ma la comunicazione va e viene. Si riesce a comunicare in parte tramite una rete 4G che però, per forza di cose, è satura”. Manno avverte: “Non è un problema da poco: per noi è fondamentale restare in contatto coi colleghi all’interno di Gaza per ragioni lavorative e di sicurezza. Confidiamo che la rete possa essere riparata ma anche che ne sia garantito il funzionamento nei prossimi mesi per rendere possibile le operazioni umanitarie”, conclude.
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