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Sanzioni alla Russia, hanno funzionato? Cosa dicono i numeri e lo scenario in Ucraina

(Adnkronos) – Le sanzioni alla Russia sono arrivate al diciottesimo pacchetto, con una cadenza che ha seguito l’evoluzione della guerra in Ucraina. Tre tranches nel 2025, inclusa l’ultima; tre nel 2024 con un allineamento per la Bielorussia; tre nel 2023 con integrazione sempre per la Bielorussia e per l’Iran; nove più alcune integrazioni dal febbraio alla fine del 2022.
La cronistoria
aiuta a ricostruire l’azione dell’Europa contro Mosca, a sostegno di Kiev. La base teorica delle sanzioni economiche è sempre la stessa: ridurre il più possibile le fonti di approvvigionamento, sia per quanto riguarda il denaro sia per le materie prime, per indebolire la macchina bellica russa. E la domanda che ha accompagnato ogni nuovo rilascio è stata sempre la stessa: le sanzioni contro la Russia funzionano o non funzionano?
 

Per cercare risposte che non siano troppo viziate dalla propaganda, su cui il Cremlino continua a investire con tutti i canali a disposizione, è indispensabile leggere i dati disponibili, anche questi in parte ‘corretti’ dalla macchina della disinformazione, e approfondire lo stato reale dell’economia russa dopo tre anni e mezzo di sanzioni. Da questo punto di vista, le sanzioni occidentali hanno sicuramente contribuito a complicare la gestione della macchina produttiva russa, a indebolire i fondamentali e a limitare le possibilità di un’economia ormai completamente convertita in un’economia di guerra.  

E’ però importante valutare i risultati raggiunti senza omettere gli errori e i passi falsi che sono stati fatti. Nel mirino dell’Europa sono finite persone, entità, beni e tecnologie. Prima di tutto, per colpire l’industria militare, le restrizioni sui prodotti chimici e i ricambi, e poi, per impedire lo spostamento delle merci, i servizi portuali e le flotte ombra e, per impedire lo spostamento di denaro, le banche e il sistema finanziario.  

Una prima, sostanziale, presa d’atto riguarda i canali con cui la Russia è riuscita ad aggirare sistematicamente una parte delle sanzioni, grazie alla complicità di Stati amici, o comunque, non nemici (Cina, Iran, Corea del Nord ma anche India in alcuni passaggi). Ne è una prova inconfutabile la stessa composizione dei nuovi pacchetti che si sono avvicendati nel tempo, sempre più orientati a colpire proprio la rete di connivenze e interessi che ha depotenziato le sanzioni dirette. 

Ci sono stati poi i compromessi che gli stessi stati membri dell’Unione europea hanno scelto o sono stati costretti a fare. Per i veti che sono arrivati da Paesi progressivamente più vicini a Mosca che a Bruxelles, dall’Ungheria alla Slovacchia, ma anche per evitare che le sanzioni avessero un effetto negativo insostenibile per l’economia europea. E’ il caso del gas e del petrolio, che non sono mai stati sanzionati completamente, lasciando che le forniture in parte continuassero a transitare anche verso l’Europa. 

Le sanzioni hanno anche cercato di arginare la disinformazione e la propaganda. Su questo fronte, c’è da registrare un sostanziale fallimento, che dipende essenzialmente dall’impossibilità di presidiare canali di comunicazione capaci di rinnovarsi continuamente e da una infiltrazione sempre più capillare delle fake news, alimentate dagli algoritmi e dai bot dell’intelligenza artificiale. 

Sicuramente, provando a fare un bilancio di tre anni e mezzo di sanzioni alla Russia, si può arrivare a una conclusione. E’ fallito l’obiettivo dichiarato all’inizio, subito dopo l’invasione russa, di far implodere la Russia a colpi di sanzioni, portando la società russa, dalla popolazione alla rete degli oligarchi, a ribellarsi al Cremlino. Questo perché il regime di Vladimir Putin è ancora solido e perché, se è vero che sarà difficilissimo riportare la Russia sul sentiero di un’economia di pace, è anche vero che è lontano quel default che in tanti avevano ipotizzato. Quello che si può dire con sufficiente certezza, però, è che senza le sanzioni economiche la forza militare russa avrebbe piegato già da tempo quello che resta della resistenza ucraina. (Di Fabio Insenga)  

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