BOLOGNA – “Le persone che mantengono un contatto con gli operatori, se vengono loro offerte particolari opportunità, nel tempo modificano specifici comportamenti a rischio, e distribuire le pipe, attrezzature adatte all’uso per inalazione, sembra una pratica efficace per ridurre comportamenti pericolosi e danni alla salute tra i consumatori di crack”. A dirlo, presentando in una seduta di commissione in Comune a Bologna i risultati di un progetto sperimentale di ‘Fuori Binario’ (servizio di Open Group che si occupa di riduzione del danno) da lui curato, è Raimondo Pavarin, professore ed epidemiologo dell’Università di Bologna. L’udienza conoscitiva era stata richiesta dal consigliere di Coalizione civica Detjon Begaj. Illustrando i risultati della ricerca, pubblicati nei giorni scorsi su una rivista statunitense, Pavarin spiega che “avevamo a disposizione 40 pipe da crack e abbiamo fatto uno studio per verificare se questo tipo di intervento era efficace tra i consumatori”.
Il primo problema, dettaglia, era “salvaguardare salute consumatori: le pipe da crack spesso scarseggiano o sono fatte in modo artigianale e perciò vengono condivise, con rischi di contagio da Hiv o Hcv, infezioni batteriche o lesioni per l’uso di materiali non sicuri, ad esempio quando si usano lattine o bottiglie di plastica”. Dalla letteratura, prosegue Pavarin, emerge infatti che “fornire strumenti più sicuri per fumare crack può promuovere la salute e coinvolgere le persone nel trattamento, e che la distribuzione delle pipe ha contribuito in modo significativo alla diminuzione di pratiche iniettive e della condivisione degli strumenti di consumo, con riduzione del rischio infettivo e l’aumento del passaggio dall’uso iniettivo a quello inalatorio e della capacità di autoregolare i consumi e di contattare i servizi di rete”.
Fatte queste premesse, il professore spiega che “lo studio, fatto su un campione di persone che frequentano un servizio di riduzione del danno a Bologna, ha avuto come obiettivo principale verificare se, dopo 30 e 60 giorni, ci fossero state modifiche negli stili di consumo e quali fossero i problemi percepiti come conseguenza dell’uso di crack”. Per fare questo, alla consegna della pipa “è stato sottoposto un questionario, ripetuto 30 e 60 giorni dopo”.
Il primo risultato, sottolinea Pavarin, è che “dopo 60 giorni, la frequenza del fumo di crack è diminuita del 50%”, e sempre dopo 60 giorni molti dei consumatori coinvolti “hanno cessato di avere problemi respiratori (37,5%), mal di gola (25%), bruciature sulle labbra (20,8%) e ulcere della bocca (12,5%)”. Durante entrambi i follow up, inoltre, “la condivisione di bottiglie per fumare crack è diminuita, e dopo 60 giorni è scomparsa l’abitudine di condividere lattine o boccagli”. Risultati simili, sottolinea poi Pavarin, “sono evidenziati da altre ricerche internazionali, da cui emerge anche che ‘la precarietà economica dei consumatori, i contesti violenti e le politiche repressive possono favorire il permanere di pratiche di condivisione o utilizzo di materiali non sicuri e contrastare il contatto con servizi di riduzione del danno'”. Sulla questione interviene anche il coordinatore operativo di ‘Fuori Binario’ Giuseppe Ialacqua, evidenziando come, pur non essendo questo il primo caso in Italia di distribuzione di pipe ai consumatori, è però il primo su cui è stata svolta una ricerca. “Per questo semestre- spiega- prevediamo, con una nuova fase sperimentale, di poter offrire due pipe a consumatore, con la speranza di traghettarli da pipe in metallo ad altre in materiali più sicuri” e con l’auspicio che, nei prossimi anni, il progetto, da sperimentale, diventi strutturale.
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