ROMA – In Bangladesh, la procura ha chiesto la pena di morte per la ex premier Sheikh Hasina, ritenendola responsabile della repressione “letale” delle proteste tra luglio e agosto 2024, in cui hanno perso la vita 1.400 persone. Il procedimento, iniziato il primo giugno a Dhaka, si sta svolgendo in contumacia: la ex premier – che in totale è stata al potere vent’anni – è infatti in esilio in India, dopo essersi dimessa nell’estate 2024 dopo che milioni di persone, tra cui prevalentemente giovani e universitari, erano scesi in strada per dire basta a corruzione, chiusura degli spazi democratici e mancanza di prospettive. Le sommosse hanno messo in fuga l’esecutivo guidato dal partito Lega dell’Awami, determinando l’ascesa di un governo ad interim guidato dall’economista e Premio Nobel perla Pace, Muhammad Yunus.
“Chiediamo la pena più severa per lei”, ha dichiarato il procuratore capo Tajul Islam ai giornalisti, stando a quanto riportano i quotidiani bengalesi, fuori dall’aula di tribunale. “Per un singolo omicidio- ha aggiunto- la regola è una sola condanna alla pena di morte. Per 1.400 omicidi, dovrebbe essere condannata 1.400 volte, ma poiché ciò non è umanamente possibile, ne chiediamo almeno una”. In udienza, come riferisce il Daily Star, il procuratore Islam ha definito Hasina “la mente e principale artefice” delle violenze che si sono registrate nei cortei. “Il suo obiettivo- ha aggiunto- era quello di aggrapparsi al potere in modo permanente, per sé e per la sua famiglia”.
Hasina è la figlia di Sheikh Mujibur Rahman, il primo presidente e primo ministro del Bangladesh dopo l’indipendenza del 1972. Oltre a Hasina, sono chiamati a rispondere delle vittime di oltre un anno fa anche l’ex ministro degli Interni, Asaduzzaman Khan Kamal – che al momento risulta latitante – insieme all’ex capo della polizia Chowdhury Abdullah Al-Mamun, in custodia cautelare, che si è già dichiarato colpevole. L’accusa ha chiesto anche per il primo la pena capitale. In aula, in quasi cinque mesi di procedimento, hanno testimoniato decine di vittime e testimoni diretti di quegli eventi. Al procedimento in corso si aggiunge per Hasina il mandato d’arresto spiccato la scorsa settimana dal Tribunale per i crimini internazionali del Bangladesh, un fatto che imbarazzala famiglia anche perché quel tribunale fu istituito nel 2009 per perseguire crimini di genocidio, contro l’umanità e di guerra nel conflitto del 1971, in cui il padre viene celebrato come eroe della liberazione. Oltre a lei, sono state raggiunte da mandati d’arresto altre 29 persone tra ex funzionari di governo e alti ufficiali delle Forze armate. Il lavoro della magistratura rischia però di creare tensioni, come ha avvertito la leader dell’opposizione Khaleda Zia: la storica rivale di Hasina è intervenuta nel corso di una riunione d’emergenza convocata dal premier Yunis con i principali partiti, per affrontare l’impatto che procedimenti a carico di vertici dell’esercito potrebbero causare. A Yunis, la leader del Partito nazionalista del Bangladesh (Bnp) ha suggerito di “mantenere buoni rapporti con le Forze armate” perché “non possiamo permetterci dei rischi”, citando l’importante appuntamento delle elezioni generali a cui il governo di transizione sta lavorando per febbraio 2026.
Le notizie del sito Dire sono utilizzabili e riproducibili, a condizione di citare espressamente la fonte Agenzia DIRE e l’indirizzo https://www.dire.it